PREVISIONI DEL TEMPO
 
 
1954  - Alan e Aristo
 Alan Lomax un “bel giorno sparì senza salutare nessuno”1: entrando nel mito senza lasciare l’indirizzo di casa, negli Stati Uniti. Non pagò neppure il conto dell’albergo eppure “Bertino, Corrado e la Norma ridevano: erano felici di averlo ospitato”2. Ancora oggi, del resto, la presenza del grande etnomusicologo ha lasciato segni vivaci e positivi nella memoria di Riolunato: molto probabilmente per il suo stile di lavoro improntato a “correttezza civile e rispetto delle donne e degli uomini che gli [avevano] ‘offerto’ con passione e canti e musiche della loro cultura tradizionale”3. Lomax era arrivato in paese il 26 novembre del 1954: “Stava raccogliendo per conto dell’Accademia di Santa Cecilia motivi popolari italiani, dalla Sicilia alle Alpi. Pilotava un grosso furgone Wolkswagen, corredato di una attrezzatura per la registrazione lontana da noi anni luce”4. Incise su nastri buona messe di materiali canori lasciandone poi copia a Roma, presso il Centro nazionale di studi sulla musica popolare: luogo certo non praticato dai cantori di Riolunato che neppure avevano frequentazione con i dischi statunitensi nei cui solchi cui andò a fissarsi il Maggio delle ragazze. Erano stati attori senza conoscere il copione e le intenzioni del regista.

Le voci però di ‘Aristo’ Mattei e di altri furono più volte risentite in paese via radio, nel programma Chiara Fontana trasmesso dalla terza rete. Riolunato, senza chiederlo, aveva ottenuto quanto  in quegli anni i braccianti pugliesi chiedevano a Ernesto de Martino: rendere note al mondo le loro storie destinate a “consumarsi privatamente”. Volevano invece che acquistassero “carattere pubblico mediante il giornale, la radio, il libro”5 formando così tradizione e storia. Come dieci anni dopo sarebbe avvenuto a Spoleto, nel Festival dei Due Mondi, con lo spettacolo Bella Ciao: sul palcoscenico cantarono assieme la mondina Giovanna Daffini e la musicista Giovanna Marini. Accompagnava il conseguente LP un solenne commento di Franco Fortini: "Qualche volta, dagli affreschi e dai quadri, i loro visi ci fissano. Ma dai libri quasi mai ne intendi la voce. Le loro generazioni hanno formato la lingua che parliamo, la sintassi dei nostri pensieri, l'orizzonte delle città, il presente. Ma la coscienza che anno dopo anno, mietitura dopo mietitura e pietra dopo pietra, essi formavano ai signori e ai padroni, quella coscienza non li riconosceva. Li ometteva. Confondeva le loro voci con quelle degli alberi o degli animali da cortile. Questi canti sono stati uditi – quando sono stati uditi – tutt'al più come voce di una cultura separata e arcaica; ma noi oggi sappiamo che essi esprimono un mondo di dominati in contestazione e in risposta".  ‘1964’, per la verità, significava anche, o forse principalmente, boom economico. “Viva la vita/pagata a rate/con la Seicento/la lavatrice/viva il sistema/che rende uguale e fa felice/chi ha il potere/e chi invece non ce l'ha”6: la canzone amara di Ivan Della Mea non voleva ammettere che le classi lavoratrici ambissero tatticamente ai prodotti demandando alla strategia la conquista dei mezzi di produzione.  Bella Ciao, e annesso fortunato clima di folk revival, rappresentarono in ogni caso un passo importante nella storia del rapporto tra chi ‘cantava’ e chi ‘ricercava’: entro un’asimmetria socioculturale, iniziata nella prima metà dell’ 800, che avrebbe finito per rimare con democrazia in apertura di terzo millennio.                                                          1 Citato in G. Borghi, Sulle tracce di Alan Lomax a cinquant’anni dalle sue ricerche sull’appennino Tosco-emiliano (Vergato, Treppio, Riolunato, Costabona),  (ed. or. 2004), on line in http://lapalestradelcantautore.it/wpcontent/uploads/2014/10/N059Nueterricerche26-Alan-Lomax-Storie.pdf, p. 10 2 Ibidem 3 Ivi, p. 2 4 Ivi, p. 9 5 Ernesto de Martino, Note lucane, (ed. or. 1950), in Id., Furore, simbolo, valore, Milano, Feltrinelli, 2002, pp. 119-133: 127

1832 - Niccolò e Beatrice
 “Non però conosce se stessa”7: l’abate Giuliani si riferiva a una persona ma avrebbe potuto dirlo anche di una cultura. Beatrice di Pian degli Ontani, a 30 km da Riolunato, era una pastora analfabeta di straordinaria abilità nell’improvvisazione poetica popolare. Persona e cultura ‘c’erano già’ ma vennero ‘scoperte’ solo nel 1832: quando Niccolò Tommaseo andò a incontrarle e ne stilò referto8 nell’ “Antologia”, rivista fiorentina di respiro europeo. A trovare la poetessa pastora andarono poi vari importanti intellettuali: anche una ricca ereditiera di Boston, Francesca Alexander, che ne divenne ‘amica’ pubblicandone alcuni versi in Roadside Songs of Tuscany.  Beatrice venne certamente gratificata da queste impreviste attenzioni ma altrettanto certamente non si rese conto di aver contribuito alla nascita italiana di un ‘oggetto di studio’ che qualche anno dopo, nel 1846, sarebbe stato battezzato ‘folklore’ da un archeologo  scozzese. Ignorarono a lungo di farne parte anche i tanti ‘informatori’ locali che, tra ‘800 e ‘900, consentirono a ricercatori esterni di raccogliere, studiare e stampare canti, fiabe, proverbi, riti, danze, credenze. Il folklore, progressivamente radicandosi nel senso comune non popolare, cresceva all’insaputa di chi lo praticava vivendo. Almeno fino all’arrivo delle politiche culturali di regime, che favorirono la nascita di ‘gruppi folkloristici’ locali che ri-proponevano in forma di evento-spettacolo tratti diversi della cultura popolare. 
 

2016 - Kristian e Daniela
 Al Maggio ha partecipato anche una delegazione delle Isole Fær Øer, ai cui rappresentanti   “abbiamo fatto conoscere le nostre eccellenze alimentari, gastronomiche e paesaggistiche“9. In programma anche una conferenza organizzata dall’Accademia del Frignano ‘Lo Scoltenna’ mentre, nel  “week end del primo Maggio, il gruppo trekking ‘La via dei monti’ organizza due escursioni nella valle del Pelago”10. Panorami in movimento: i ‘maggiarini’ locali si sono incontrati con loro confratelli in Rassegne di varia scala territoriale e il Maggio di Riolunato è virtualmente nel mondo grazie a YouTube.  Ebbene sì: ‘anche’ il Maggio è cambiato. Come del resto aveva sempre fatto perché le tradizioni vivono cambiando.                                                                                                         6 I. Della Mea, Io so che un giorno, Milano, Edizioni del Gallo, 1966 7 G. Giuliani, Delizie del parlare toscano, (ed. or. 1858), Firenze, Le Monnier, 1912,  p. 337 8 N. Tommaseo, Gita nel pistoiese, in “Antologia”, XX, ott. 1832, pp. 12-33  9 In < http://www.modenatoday.it/cronaca/gemellaggio-appennino-riolunato-viaggio-faer-oer.html> 10 Cfr. < http://www.laviadeimonti.com/riolunato-torna-il-maggio-delle-ragazze/>

“Ecco il ridente Maggio,/Ecco quel nobil mese/Che sprona ad alte imprese/I nostri cuori”. Sono parole di fine ‘500, arrivate sull’Appennino partendo da un testo a stampa di Giulio Cesare Croce11: rappresentarono dunque una innovazione, essendo il Maggio una pratica rituale molto più remota. Nella stessa logica: anche l’abbigliamento dei ‘maggiarini’ non è mai stato lo stesso. Sono altre due, tuttavia, le mutazioni più profonde. La prima consiste nel passaggio da azioni ‘vissute’ ad azioni ‘rappresentate’.  Oggetti, cibi e riti sono stati ‘fatti’, molto a lungo, per rispondere ad esigenze immediatamente pratiche, di ‘primo livello’. Nel secolo scorso molti di questi elementi sono usciti di scena, superati da altri, ma la loro obsolescenza ha finito per valorizzarli in quanto prestigiosi e identitari segni di memoria: sono stati appunto, come si dice, ‘patrimonializzati’. Vecchi strumenti di lavoro si impreziosiscono nelle collezioni dei musei etnografici. Ricette gastronomiche originariamente necessitate da penuria quotidiana si trasformano in opzioni di qualità offerte nei menu dei ristoranti. Anche il Maggio, in questa stessa direzione, continua a celebrare le nuove primavere ma ancor più è orgoglioso delle celebrazioni precedenti: è un’azione contemporanea che produce memoria.  Si è parlato in proposito di ‘filiazione inversa’; “non sono i padri a generare i figli ma sono i figli che generano i propri padri. Non è il passato a produrre il presente, ma il presente che modella il suo passato”12. La seconda mutazione è costituita da un cambio di ruolo manifestatosi all’interno del processo di patrimonializzazione. Il folklore, come già ricordato, è nato da uno sguardo che valorizzava la cultura popolare dall’esterno e dall’alto: Tommaseo scopre Beatrice. Dalla seconda metà del ‘900, invece, la consapevolezza dei valori locali è fatta propria dalla stessa comunità locale che ancora, se crede, chiede consulenza agli studiosi ma gestisce la sua storia in sostanziale autonomia. Esemplare, a Riolunato, il ruolo assegnato al  Centro di Documentazione sulla tradizione del Maggio che alla performance del rito affianca documentazione, nuova ricerca, confronti, esposizione museale di oggetti: confermando una diffusa tendenza evolutiva.

Va infatti formandosi un nuovo pubblico che nutre e frequenta siti dedicati13, “animato in genere dal desiderio di recuperare o coltivare memorie individuali, familiari, di gruppo, di riscoprire e valorizzare identità territoriali, o, più genericamente, di stabilire una qualche forma di rapporto con momenti e aspetti del passato sentiti come vicini e importanti, un rapporto il più possibile ‘diretto’ e immediato, non filtrato dalle tradizionali figure dei mediatori di conoscenza storica: la scuola, gli storici professionali, i mass media”14. Così ‘pubblicabili’, gli archivi mutano completamente la loro vecchia pelle rifiutandosi di apparire “più tristi dei cimiteri perché non ci entra nessuno nemmeno il giorno dei morti”15 e “si rivelano, al contrario, pervasi di intense testimonianze di vita e di incancellabili tracce identitarie”16. Nuova si delinea anche la funzione dei musei che  se “non vengono sradicati dai loro contesti e dalle loro strade  ma sono situati con cura e ingenuità nei loro luoghi naturali, possono avere modo di raccontare autonomamente le proprie storie. Ci servono musei modesti che possano onorare le strade, le case e i negozi che li circondano e trasformarli in momenti della loro esposizione (…). In
11 Cfr. G. Nascimbeni, Il maggio delle ragazze a Riolunato, in “Il Marzocco”, XVI, n° 21, 21 maggio 1911, p. 4 12 G. Lenclud, La tradizione non è più quella di un tempo, in P. Clemente, F. Mugnaini, Oltre il folklore. Tradizioni popolari e antropologia nella società contemporanea, Roma, carocci, 2001, p. 131 13 cfr. S. Vitali, Rappresentazioni della storia e del passato nella Rete, in ASAC online. Il sito web degli istituti di cultura, Atti del workshop, a cura di Gaetano Pasini, Venezia, 13 dicembre 2004, anche in <http://www.labiennale.org/62/61793.pdf> 14 S. Vitali, Memorie, genealogie, identità, in L. Giuva, Id., I. Zanni Rosiello, Il potere degli archivi. Usi del passato e difesa dei diritti nella società contemporanea, Milano, Bruno Mondadori, 2007, pp. 67-134: 92 15 M. Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere, (ed. or. 1984), Milano, Adelphi, 1988, p. 109 16 S. Vitali, Memorie, genealogie, identità cit., p. 74

breve: il futuro dei musei è all’interno della nostra casa (…). Siamo stati abituati ad avere l’epica ma quello che ci serve sono i romanzi (…) nei musei avevamo la Storia, ma quello che ci serve sono le storie (…)”17. Il museo, in questa chiave, va oltre vetrine e pannelli. “Con la conferenza dedicata al paesaggi culturali i musei assumono un compito di presidio del territorio che è molto importante e apre a una nuova funzione sociale. Questa funzione è definita dalla Carta di Siena sul paesaggio culturale, un documento di ICOM-Italia e delle diverse associazioni museali italiane ancora in corso di approvazione definitiva, come un “Centro di responsabilità patrimoniale” che opera fuori delle sue mura, al di là delle sue collezioni, come centro di interpretazione del territorio in cui si trova ad operare e nel quale è chiamato a creare o potenziare delle “comunità di paesaggio”, ovvero comunità di cittadini culturalmente attivi che monitorano, tutelano, salvaguardano, comunicano il proprio paesaggio”18.
 
 

2018 - è tutta una Convenzione ?
 “Il valore patrimoniale di un elemento (tangibile o intangibile) non è più stabilito dai detentori di un sapere tecnico-scientifico ma dal gruppo che lo produce o lo riproduce”19: il neoprotagonismo degli attori locali, finalmente padroni delle loro azioni patrimonializzanti, appare legittimato (se non creato) da importanti Convenzioni internazionali.  Nel 2000 una Convenzione Europea “definisce il Paesaggio quale determinata parte del territorio, così come è percepita dalle popolazioni” e intende “valutare i paesaggi individuati, tenendo conto dei valori specifici che sono loro attribuiti dai soggetti e dalle popolazioni interessate” 20. Unesco, nel 2003, riconosce “patrimonio culturale immateriale trasmesso di generazione in generazione e costantemente ricreato dalle comunità anche le conoscenze, il know-how – come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati”21.  Nel 2005 gli Stati aderenti alla Convenzione di Faro si impegnano a  “prendere in considerazione il valore attribuito da ogni comunità patrimoniale all’eredità culturale in cui si identifica” e definiscono ‘comunità di eredità’ un “insieme di persone che attribuisce valore ad aspetti specifici dell’eredità culturale, e che desidera, nel quadro di un’azione pubblica, sostenerli e trasmetterli alle generazioni future”22. Il ‘potere del popolo’, come si vede, ha impiegato più di due secoli, dopo la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino dell’ ’89,  per arrivare a interessare anche le culture  locali. ‘Proclamare’, inoltre, non è mai stato sinonimo di ‘realizzare’ e i principi appena richiamati sembrano scritti su carta  octroyée. A differenza infatti del diritto al voto di natura politica, non sembrano corrispondere al risultato di una lunga e forte pressione ‘dal basso’. È stato semmai il top a sostenere l’indispensabile protagonismo del down: tanto che, estremizzando, si potrebbe affermare    che il popolo/comunità è sovrano, quasi senza saperlo, di un bene su cui di conseguenza non esercita confacente governo. Nella sostanziale positività dei nuovi spazi aperti dalle Convenzioni non mancano, di conseguenza, i rischi. Anzitutto di dosaggio: con un’ overdose di democrazia diretta che trascura la necessità di pesi e contrappesi. La gestione delle tradizioni, Maggio incluso, ripropone fascino e problemi della ‘democrazia partecipativa’: che non prende corpo solo perché la si desidera e in ogni caso implica metodi e ruoli tutt’altro che ben definiti e irenici                                             

17 O. Pamuk, citato in P. Clemente, I musei, tra nuove missioni e vecchie immagini. Orhan Pamuk, Claudio Magris e il senso comune, in “Dialoghi mediterranei”,  n. 21, settembre 2016, rivista on line:  <http://www.istitutoeuroarabo.it/DM/> 18 Ibidem  19 C. Bortolotto, Quali inventari per il patrimonio culturale immateriale ? Innovazioni e problematiche nell’applicazione della Convenzione del 2003, in Identificazione partecipativa del patrimonio culturale immateriale, a cura di Ead., 2011, pp. 66-72: 68,  <http://www.echi-interreg.eu/assets/uploads/Identificazione_partecipativa_Patrimonio_Immateriale_dossier.pdf>.  20 art 1. a. Per il testo completo < http://conventions.coe.int/treaty/ita/Treaties/Html/176.htm>. 21 Convenzione Unesco per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, Parigi, 2003, art. 2 22 Convenzione di Faro, redatta in Portogallo il 27 ottobre 2005  e ratificata dall’Italia il 2 marzo 2013, < http://www.beniculturali.it/mibac/export/UfficioStudi/index.html>

Le ‘popolazioni’ non rimandano affatto a soggetti unitari, coesi e necessariamente positivi.  Il ‘campanile’ è poi totem di orientamento sempre suscettibile di involvere in campanilismo e la globalizzazione valorizzante le particolarità locali promossa da Unesco non sta disseminando, al momento, preziose occasioni di comparazione affratellante, di riconoscimento della varietà come ricchezza degli ‘altri’ da condividere con la propria: le liste dei patrimoni dell’umanità hanno semmai favorito concorrenza forte e miope tra interessi locali. Sappiamo infine che il ‘nostro’ patrimonio culturale è sempre più visto e partecipato anche da ‘loro’, da vari ‘altri’ in parte destinati a far parte di più largo e ricco ‘noi’. Etnorama è per Appadurai “quel panorama di persone che costituisce il mondo mutevole un cui viviamo: turisti, immigrati, rifugiati, esiliati, lavoratori ospiti, ed altri gruppi e individui in movimento”23.  Prospera, pour cause, intenso dibattito su chi debbano essere gli attori del partecipare: dalla genericità di comunità e cittadinanza alla individuazione dei ‘cittadini attivi’ e del ‘ceto medio riflessivo’24  anche a costo di escludere (chissà don Lorenzo !) proprio i soggetti meno interessati perché deprivati di lingua e consapevolezza. Altro bel caso è quello che, nella pratica del partecipare, si manifesta con il delicato incontro tra saperi diversamente esperti (tutti i saperi lo sono): una diversità anche conflittuale che, se ben gestita, rende la negoziazione non simile ad un compromesso ma ad una comune crescita creativa. 

Ritorno, concludendo, alla specificità della gestione del Maggio di Riolunato: come ci si veste e come lo si canta ? Lo possiamo esportare ? Non ci sarà troppa presenza di ‘turisti’ e di interessi economici ? Si perde sempre più l’autenticità originaria che risale alla notte dei tempi ? E via elencando questioni diverse che peraltro si ripropongono in ogni angolo del grande territorio delle ‘rievocazioni’ tradizionali.  Il passo indietro del torero che, se non mi sbaglio, Riolunato intende compiere per riflettere su come meglio andare avanti credo sia proprio questo: sperimentare, e in Italia costituirebbe riferimento significativo, una gestione del Maggio partecipata veramente perché aperta a più voci e intenzioni, locali ma in dialogo di apertura con altre esperienze e competenze.  “Tutto il mondo è paese che vai usanza che trovi”: un proverbio nuovo, che non c’è ma che varrebbe la pena di provare a costruire unendone due vecchi.  Peculiare del Maggio delle ragazze è ‘l’ambasciata’: e oggetto ambasciatore potrebbe divenire il Maggio dell’Appennino modenese, capace di negoziare produttivamente tra generazioni e passioni, distanze e vicinanze.
 
 paolo  de simonis
23 A. Appadurai, Modernità in polvere, (ed. orig. 1996), Roma, Meltemi, 2001, p. 53 24 Cfr. P. Ginsborg, Il tempo di cambiare: politica e potere della vita quotidiana, Torino, Einaudi, 2005

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