CONVEGNO A TORINO
PROGRAMMA
PUBBLICHIAMO LA RELAZIONE INTEGRALE di MAURO GERACI Professore Ordinario di Etnologia presso il dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne dell'Università di Messina, cantastorie e segretario della Associazione Culturale Il cantastorie on line
Politiche e filosofie discografiche nei poeti-cantastorie del Sud
Il caso del folkronista e provocantore Franco Trincale
di Mauro Geraci
Riflettere sulla discografia dei cantastorie del Sud significa gettare luce su usi riconducibili alla prospettiva riflessiva che contraddistingue l’attività mediatica che i poeti-cantastorie del Sud continuano a esercitare, pur nella trasformazione di stili, vedute e piazze. Funzione mediatica già rilevata da Alessandro D’Ancona sul finire dell’Ottocento: i cantastorie, scriveva, si muovono “tra i poeti degni di laurea e i volgari versificatori”; e approfondita nel Novecento da importanti studiosi quali Giuseppe Cocchiara, Antonino Buttitta, gli etnomusicologi Roberto Leydi e Diego Carpitella che hanno messo in evidenza la dimensione di mezzo che caratterizza il sapere dei cantastorie. A livello comunicativo lo spettacolo dei cantastorie fa uso, infatti, di una sorta di prisma multimediale: precedentemente fissato in un testo poetico, ogni fatto trovato e narrato viene scomposto, ragionato, riesposto attraverso una molteplicità di diversi canali comunicativi quali la scrittura poetica, l’oralità, la lingua, il dialetto, la stampa, il recitato, il cantato e il discorso improvvisato, una musica che sta a metà tra quella folklorica e quella di massa se non culta, la gestualità e la teatralità, il mezzo discografico, cinematografico e audiovisivo, il fondamentale ricorso visivo ai cartelloni (spesso ripresi nella copertina di dischi e cd) che riecheggia e potenzia parole cantate a loro volta confidanti nei rimandi scenici, nel tentativo di esplorare immaginari di fatti, questioni, opinioni più o meno consueti e condivisi.
A livello conoscitivo si tratta di un sapere ancora di mezzo: cioè che mette capo a testi poetico-musicali – storie cantate, ballate, cuntrasti, sfide, duetti – che, dichiara il cantastorie Franco Trincale, puntano a fare “esplodere le contraddizioni”, le doppie morali d’ogni storia, i dubbi e i doppi direbbe Pirandello, insomma a un sapere tutt’altro che mitico bensì decostruttivo, antagonista, che smonta miti e versioni pretenziose della storia attraverso intenti critico-speculativi: Orazio Strano di Riposto e Salvatore Di Stefano di Avola confessavano d’incentrare le loro ballate sulle “cose che non quadrano” della vita. Per Trincale “Il Cantastorie […] attinge la notizia alla fonte – quartiere proletario, case occupate, fabbriche in lotta, lotte dell’emigrazione, manifestazioni politiche – e la propaga nello stesso spazio per discuterne i contenuti con i diretti protagonisti. Poi, tramite la forma acustica la propaga agli altri quartieri o città con la stessa realtà per farne esplodere le contraddizioni e comunicare le esperienze di lotta dei luoghi dove è stata attinta la notizia, che è diventata “ballata”. Nello stesso tempo riceve il giudizio critico di classe e nello stesso spazio attinge i mezzi vitali per la sopravvivenza”. Disposizione critico-speculativa che, alternativamente, s’avvale tanto della scepsis, della presentazione di una storia oggettivata in testi, cartelloni, dischi e fondata sul verghiano “guardare da una certa distanza” o sull’”effetto di estraniamento” che Brecht riprese dai cantimpanca medievali tedeschi (balkensanger); quanto della mimesis, cioè dell’immedesimazione, della rappresentazione dei vari punti di vista che muovono azioni, sentimenti, personaggi. Così Orazio Strano: “Il cantastorie è un attore: deve accompagnare con la chitarra, deve scrivere, deve cantare, deve recitare, deve fare la vecchia, deve fare il maresciallo, deve fare tante e tante cose assieme… questo è il vero cantastorie”. Ed è a partire dall’esigenza di oggettivare la multivocalità propria d’ogni storia (i contrasti e multi vuci dei giullari dell’antichità) che bisogna partire per comprendere l’antagonismo discografico dei cantastorie: dischi, musicassette, cd, dvd, oggi chiavette usb e files audiovisivi diffusi in piazze sempre più telematiche, virtuali, artificiali.
La partecipazione a circuiti culturali di massa ha finito per dilatare la piazza dei cantastorie, diversificando la fruizione dei loro repertori. Il ricorso alla discografia e ai mass media (si pensi solo alla nutrita partecipazione dei cantastorie alla più alta cinematografia neorealista di Blasetti, Scorzese, Rosi, Lizzani e oggi Tornatore e Scimeca, su cui abbiamo di recente organizzato un convegno all’Archivio centrale dello Stato di Roma), specie a partire dagli anni Cinquanta ha rappresentato un solido terreno d’incontro tra cantastorie, canzonettisti, cantautori, attori, esponenti della canzone urbana milanese, fiorentina, romana e napoletana, gruppi folkloristici e folk singers. Basti ricordare il debutto da canzonettisti che ha segnato il profilo professionale di importanti cantastorie quali il pugliese Matteo Salvatore, Cicciu Busacca, Vito Santangelo, Otello Profazio e Franco Trincale che ricorda: “Cominciai a guadagnare quando portai in piazza i dischi a 33 giri che contenevano diverse mie canzoni che la gente comprava e portava a casa. Quando sono venuto a Milano ero più canzonettista che cantastorie… Cantavo Lazzarella, Guaglione, Malafemmina”. Lo stesso cantastorie mi confessò che all’inizio, in Sicilia, incideva e vendeva, non appena uscivano a Sanremo, le canzoni di Claudio Villa ancor prima che i dischi ufficiali arrivassero sulle piazze dei paesi. Tale variegata produzione discografica ha fatto sì che i cantastorie adattassero presto i loro repertori alla ristrettezza dei supporti in vinile, su nastro, sebbene storie lunghissime quali quelle del bandito Giuliano, del brigante Musolino, di Kennedy o del Papa Buono, incise su 33 giri, abbiano registrato enormi successi commerciali specie nei vasti circuiti migratori del nord Europa, degli Stati Uniti, del Canada.
La presenza dei cantastorie del Sud, per riprendere in linea generale le distinzioni operate da Lombardi Satriani in Folk music revival e profitto, è trasversale: la si riscontra nelle case discografiche con distribuzione nazionale, spesso caratterizzate da repertori canzonettistici o musica leggera; nelle case discografiche con circuiti più periferici e locali; in quelle dedicate al folk music revival; in quelle dichiaratamente ispirate a partiti e progetti politico-ideologici con canzoni di lotta e denuncia; nelle case discografiche votate al rigore documentario dell’etnomusicologia. A questo proposito, se si eccettuano le antologie di Alan Lomax, Diego Carpitella e Roberto Leydi, la comparsa sporadica dei cantastorie nelle raccolte etnomusicali dipende soprattutto dalla posizione marginale che essi hanno spesso occupato rispetto ai cosiddetti “valori autonomi” o “autentici” del folklore orale che, per troppo tempo, hanno purtroppo ricevuto l’esclusiva attenzione dell’antropologia e dell’etnomusicologia. Trincale, Salvatore, Ricotta, Giordano, Profazio, Buttitta, Strano, Caliò, Santangelo, Busacca hanno, di contro, registrato parte della loro produzione per conto di note case discografiche quali la Parlophone, la Rca-Vik, la Fonola, la Fonit-Cetra, la Fabbri Editori, la Durium, I dischi del Sole. La produzione più consistente resta però affidata a case più piccole – ad esempio la Tauro Record di Taormina, la GS Record e Sorriso di Catania gestita dal marito della cantastorie Rosita Caliò, la Cediscor di Palermo, la Combo, la Vanessa Record, la Regal, la Melody, l’Aquila Record di Palmi. Tali produzioni, mentre hanno contribuito a diffonderne le voci hanno tuttavia finito spesso per condizionare, frenare se non censurare le potenzialità critiche e contestative dei cantastorie, spesso presentandoli come figure di un leggendario, non ben definito passato folkorico, come “ultimi” portatori di saperi ormai desueti, incapaci di cogliere i dettami della modernità. Da qui le battaglie che i cantastorie hanno condotto per affrancare la propria canzone antagonista dai cliché discografici del popolare, del folklorico, avanzando una riflessione interclassista, popolare e assieme colta della storia, attraverso dischi (quali quelli di Buttitta, Busacca, Profazio, Fortunato Sindoni) in cui compaiono prefazioni di alti esponenti del mondo della letteratura e delle scienze sociali quali Carlo Levi, Danilo Dolci, Pierpaolo Pasolini, Leonardo Sciascia, Vincenzo Consolo, Saverio Strati, Umberto Eco, Roberto Leydi, Luigi Lombardi Satriani, Sergio Todesco. Prima fra tutte la battaglia di Trincale tesa a far riconoscere la figura del cantastorie dagli Ordini dei giornalisti e a dimostrare come essi oggi siano in grado di cantare in piazza, in tempi ancor più veloci di internet, ciò che spesso viene nascosto dai giornali e dal web. E ciò secondo una visione che vede concorrere tanto i cantastorie quanto gli intellettuali meridionalisti a farsi cassa armonica o disco delle istanze popolari, così Sciascia, nel 1972, nella famosa introduzione a Io faccio il poeta di Buttitta: “Le radici popolari e contadine della poesia di Buttitta non fanno di lui un poeta popolare se non nel senso di poeta che sta dalla parte del popolo”. E poi continua: “Chi scrive questa nota, più volte, di fronte ai libri di Buttitta, si è trovato a fare il nome di Neruda: e a evidenza si può confermare qui, su certi canti, il richiamo. Ma una poesia come U rancuri – verità di fronte a se stesso e quindi, contro se stesso, rancore – Neruda non l’ha mai scritta, non la scriverà…” Tra l’altro, U rancuri (discorso ai feudatari), altissimo esempio dell’estraniamento poetico, è stata musicata e incisa da Profazio nel disco Qua si campa d’aria della collana folk della Fonit-Cetra.
A questa esigenza di libertà espressiva, corrisponde l’irrefrenabile volontà dei cantastorie di sottrarsi ai pressanti affari retorici e politici delle case discografiche: con Il fischio del cantastorie io stesso contestai Il fischio del vapore realizzato dalla coppia Marini-De Gregori per la multinazionale Sony. Esigenza cui, si può dire, ogni cantastorie ha fatto e fa fronte attraverso la vastissima discografia autoprodotta, spesso con l’apertura di vere e proprie etichette: la BUSAN gestita dai fratelli Busacca, la VOLS gestita da Orazio Strano e i suoi tre figli, la RINZINU del noto cantastorie paternese Francesco Paparo detto appunto Rinzinu, l’enorme autoproduzione di Trincale che dai primi anni Novanta arriva sino ad oggi, i cd quali Il poeta e il cantastorie. In viaggio con Ignazio Buttitta e Le ballate contro la mafia autoprodotti da Fortunato Sindoni, l’autoproduzione di Angelo Maddalena, cantastorie e cantautore di Pietraperzia, come quelli del giovane cantastorie di Lampedusa Giacomo Sferlazzo, autore della bellissima Leggenda di Andrea Anfossi o di Tiziana Oppizzi qui presente, cantastorie milanese ma vicinissima a quelli del Sud come Trincale, Caliò, Francesca Prestia, me stesso. Dischi, cassette, cd, oggi chiavette usb e file audio, un tempo venduti in piazza o distribuiti attraverso piccoli rivenditori, bancarelle, venditori ambulanti, nelle fiere, nelle feste; ricordo che Leonardo Strano, cantastorie, figlio del noto Orazio Strano, come lavoro vendeva dischi con un camion, così anche Placido Paparo il figlio di Rinzinu di Paternò. Oggi la distribuzione avviene attraverso il web, pagine social che i cantastorie hanno presto realizzato, ricorrendo a forme pubblicitarie con la diffusione del proprio recapito o, ancora, dopo gli spettacoli, dove promuovono la vendita. Ed è con questo ventaglio di modalità alternative che i cantastorie sono comunque riusciti a far passare la loro “canzone antagonista” sfuggendo al preconfezionamento di case discografiche ed emittenti radiotelevisive.
Se il mezzo discografico consente la riproduzione del testo poetico, del cartellone o la foto del cantastorie mantenendo così un approccio visivo alla storia, a risentire maggiormente dell’angustia del mezzo discografico sono le parti estemporanee, dialogiche del discorso orale. Ai flussi pluridirezionali, imprevedibili della piazza lo spazio discografico sostituisce la stanza dove il ripensamento critico della storia si fa solitario, introspettivo, individualistico. Il disco finisce per diventare un testo sonoro rileggibile al pari di un libro; non rilascia ulteriori delucidazioni o commenti estemporanei (semmai invita a rivolgersi direttamente al cantastorie il cui recapito è spesso in copertina) ma, nel fissare la storia, confida nella sensibilità emotiva, introspettiva, nelle capacità reinterpretative dell’uditore. Nei dischi i cantastorie sopperiscono all’assenza della multidimensionalità della piazza giocando sulla ridondanza di alcuni livelli sonori; compaiono formazioni strumentali più ampie, arrangiamenti più assortiti di elementi musicali derivati da altri ambiti (ballabili, brasiliani, rock, napoletani). A volte, come nei catanesi Trincale, Antonino Caponnetto, detto Brigantony, e del palermitano Enzo Barbaro, nei dischi le ballate sconfinano in vere e proprie parodie di canzoni note: la napoletana Torna con cui Trincale richiamava, ad esempio, il ritorno di Bettino o tunisino: “Torna, che se non torni tu qua non si ruba più”.
Per esemplificare più da vicino l’antagonismo discografico dei cantastorie mi concentrerò proprio sul provocantore Franco Trincale , che lo scorso mese ha compiuto novant’anni nella RSA milanese dove ha deciso di ricoverarsi in forma leggera per stare accanto alla moglie Lina affetta da alzheimer; RSA che la forza di Trincale è riuscita a trasformare da luogo di fine vita in una nuova, vitalissima piazza, con concerti e progetti con la biblioteca e le associazioni culturali locali, la sua stanza è un museo… su questo rinvio al docufilm Metamorfosi di un cantastorie che il regista Claudio Bernieri – con la consulenza mia, di Tiziana Oppizzi e Claudio Piccoli dell’Associazione cantastorie on line – ha appena realizzato con largo uso dell’intelligenza artificiale apprezzata dal cantastorie. Sul sito associazioneilcantastorieonline.org, al menù iniziative 2025, potrete visionarlo e accedere a tutta la ricca documentazione dei novant’anni di Franco.
Nato a Militello Val di Catania nel 1935, Trincale inizia la sua attività in Sicilia con modalità già diverse da quelle dei cantastorie della generazione precedente: per la Melody incide bozzetti cantati ispirati a fatti esilaranti della vita di paese. Emigrato a Milano nel 1958 con la moglie Lina, dopo un breve arruolamento in marina, diventa ben presto la voce poetica e musicale che, più d’ogni altra, fa propri i problemi di emigranti e operai al nord, sottoforma di ballate e canzoni icastiche, veloci, incisive più adatte ai tempi moderni. Vincitore nel 1967 e 1968 del premio Trovatore d’Italia istituito annualmente dall’Associazione Italiana Cantastorie, in forza della sua fisionomia di militante di sinistra, dal 1970 a oggi Trincale convoglia la propria appassionata denuncia in centinaia di storie e ballate su fatti, cronache e questioni d’estrema attualità: da quelle sul lavoro all’emigrazione e all’immigrazione, da quelle sulle lotte degli operai a quelle sui fatti di mafia, sul malgoverno e tangentopoli, dalle condanne alle guerre a quelle contro l’inquinamento ambientale. Puntuale fu lo sdegno nei confronti dell’invasione americana del Vietnam, reso esplicito in Nixon boia… che cantata sul palco del memorabile festival Palermo Pop 70 provocò quasi l’arresto del cantastorie. La carica eversiva di ballate come quella sulla morte dell’anarchico Pinelli, se dapprima suscitò solo l’imbarazzo di Pajetta allora direttore de L’Unità, più tardi costituì la ragione della presa di distanza del Partito Comunista Italiano nei confronti di Trincale. Raccogliere testimonianze dirette partecipando all’occupazione delle case popolari di Via Tibaldi a Milano organizzata dagli operai dell’Alfa, per Trincale costituì, ad esempio, un “dovere irrinunciabile” che con Via Tibaldi, Quelli dell’Alfa, Scuola di classe portò alla definitiva rottura col PCI, quindi all’accostarsi del cantastorie ai movimenti anarchici, come alla vastissima discografia autoprodotta successiva a quella prima realizzata per conto di etichette quali Fonola, Fonit-Cetra, Combo, Divergo. Se, dai primi anni Novanta a oggi, Trincale ha esercitato settimanalmente la sua professione di cantastorie in Piazza Duomo o San Babila, a Milano, la sua attività concertistica ha, tuttavia, travalicato i margini della piazza e lo ha visto collaborare a importanti rassegne concertistiche; a laboratori sull’arte dei cantastorie quali quelli tenuti nel 1999 con me presso l’Istituto Antonio Gramsci di Roma e nel 2003 presso l’Istituto Italiano e il Musikmuseet di Stoccolma; a conferenze-concerto presso università quali La Sapienza di Roma (1998) e l’Università degli Studi di Messina (2017); come a essere protagonista di tournée in Italia e all’estero, nonché autore di numerose raccolte poetiche edite da case editrici quali Feltrinelli, Lato Side, Pellicano Libri, Ala Bianca, Strade Bianche di Stampa Alternativa. A ciò va aggiunta la fiorente attività su internet (si pensi al podcast aperto su pandemikon.org che ha raccolto voci e pensieri dalla pandemia) o a trincale.com, che il cantastorie cura personalmente per proseguire sulla piazza telematica la sua funzione di folkronista o provocaNtore.
Oltre a cartelloni, bozzetti, dischi, musicassette, cd, cimeli, foto, audiovisivi, lettere di grandi protagonisti della vita politica italiana, il Fondo Trincale custodito presso il Comune di Militello in Val di Catania conserva testimonianze che operai ed emigranti inviavano al cantastorie quando iniziò stabilmente a esibirsi fuori dalle fabbriche di Milano, nei turni di mensa, durante le manifestazioni politiche, le Feste dell’Unità e del Primo Maggio. Lettere in cui i metalmeccanici svelavano lui i loro drammi da denunciare sulle piazze, da diffondere attraverso dischi in forma cantata: la catena di montaggio, il pendolarismo, il carovita e il problema della casa, il partito e il sindacato come l’emarginazione, l’alienazione, la disoccupazione. A queste s’aggiungono le lettere degli emigranti all’estero: ingaggi, richieste, ammirazioni, osservazioni, confessioni come le recensioni dei tanti concerti per i quali, dagli anni Sessanta, il cantastorie venne sempre più chiamato in Svizzera, Germania, Portogallo, Belgio, Russia, Stati Uniti, Australia nei grandi circuiti dell’emigrazione come in quelli della sinistra militante, anche a contatto con grandi cantanti quali Domenico Modugno, Claudio Villa, Giulietta Sacco, Giacomo Rondinella o cantautori come Fabrizio de Andrè. In tali testimonianze i richiami alla discografia sono talmente frequenti e centrali da poter essere qui presi a esempio della filosofia discografica dei cantastorie. Così, qualche lettera:
Evian Les Bains 10/5/71 Secchi Pietro […] Caro Trincale, Nell’Unità di avantieri ed in quella di oggi ho visto la reclama del disco nuovo contenente ben, 15 Canzoni di lotta ed oggi stesso le ho inviato l’importo del disco, affinché possa spedirmelo al più presto. Sia lei ché Fabrizio de Andrè, siete i miei preferiti, ed posso anche vantarmi di aver nella mia modesta discoteca tanti vostri dischi, chè ascolto regolarmente tutti i giorni.
E per me un grande orgoglio bel sapere che anche lei milita nella nostra grande famiglia, nella quale sono fiero di apartenervi, anche Se in questi giorni un articolo dell’Unità mi a un po deluso, il fato è del giorno che anno dato a Gustavo Thoeni la coppa del mondo proprio qui ad Evian, noi quel giorno eravamo in sciopero, di 24 ore manifestando anche davanti a dove stavano consegnando il premio a Gustavo, L’Unità non a parlato dello sciopero.
Ma non fa nulla mi scusi per questo sfogo, ed veniamo a noi, Quando riceve il costo del disco l’o spedisca al mio indirizo che è sulla testata, distintamente la saluto W Trincale W il PCI
Secchi Pietro
Stoccarda, 22.5.71.
Gent.mo Compagno trincale. Non potete immaginare che gioia che hò provato al ricevere il vostro disco con le nuove 15 canzoni, che come lò ricevuto per posta appunto stamattina 22 maggio così lò subito provato e vi ripeto che mi piace tanto. Perché non solo che io sono un vero Comunista ma quando chè mi piace molto la vostra voce Sia lodato Iddio che te là donata.
Comunque alla conclusione dei fatti, cioè voi vi potete conservare il mio indirizzo così non appena inventate altri nuovi dischi vi prego di spedirmeli anche senza mia richiesta perché probabile che io non sia informato subito, così non appena ricevo il disco vi spedisco subito i soldi, spiegandomi naturalmente la sua valuta.
Quando più ho saputo che forse venite a Stoccarda per la festa dell’Unità che si terrà in settembre. Io vi noto che qui siamo molti compagni cioè il numero più maggiore di tutta la Germania. Appunto ci auguriamo che vieni noi desideriamo tanto di conoscervi e vi aspettiamo a braccia aperte. Infine io vi noto che per il prezzo del disco io qui soldi italiani non ne tengo, ed appunto che in questa lettera vi mando 10 marchi tedeschi che tengono la valuta di £. 1.750 per posta. Comunque questi li potete campiare alla banca alle poste oppure in qualsiasi bottega di genere alimentare, ma purtroppo non vi daranno giusto £. 1.750 perché debbono guadagnare però minimo ti daranno £. 1.600. Dunque il disco costa £. 1.500 allora mi sembra che viene pagato esatto, però meno di £. 1.600 non ce li date cioè li potete spedire di nuovo a mè così io li cambio al banco qui, e vi li spedisco a moneta italiana. Infine io vi prego di rispondermi subito spiegandomi se li avete ricevuto oppure di no e se li avete campiato subito e quanto vi hanno dato. Questo è tutto. Io vi ritorno a ringraziare, Compagno, Grazie Infinite. Distinti Saluti Il Compagno Lo Russo Saverio (Scusatemi se ci sono errori ed anche la mala galigrafia) (questo è il mio indirizzo italiano […]) Buone Notizie Buona Prosperità “Ciao”
Hannover 18-9-72 Caro compagno Franco, Io non gli ho mai parlato di me ma anch’io sono stato costretto ad emigrare sin dall’età di 19 anni, ora ne ho 28. Anch’io sono stato preda di molte disavventure cioè all’età di 23 anni rientrai in Italia e volevo stabilirmi a Torino dove avevo un buon posto di lavoro e guadagnavo bene perché faccio il saldatore specializzato. Tutto andò bene per il primo periodo ma fu nel mese di Giugno 1967 quando ebbi mandato di cattura ed ero imputato mancante alla chiamata alle armi mentre io aspettavo l’esito perché dovevo essere essente al servizio militare essendo capo famiglia di genitori già da anni in pensione. A nulla valsero le mie giustificazioni e mi portarono al carcere militare che dopo ottenni la libertà provvisoria, ma dopo tre mesi dovetti partire lo stesso a fare la naja così feci i miei 15 mesi quasi sempre consegnato perché leggevo ABC, oppure L’Unità che sono i miei giornali preferiti. Comunque dopo tante consegne C.P.R. e C.P.S. che ho avuto sono rimasto a finire la naja ricordo che a Sassari andai alla festa dell’Unità e li mi ribeccarono così ebbi esattamente 60 giorni di punizione che ho dovuto scontare sino all’ultimo minuto ma riuscii ugualmente a terminare la naja e il 27 dicembre 1968 fui congedato, ripresi a lavorare sul mio posto di lavoro dove ero prima di partire per la naja ma dopo 4 mesi di trancuillo lavoro dovevo presentarmi al Tribunale Militare perché mancante alla chiamata alle armi. Feci vedere il mio congedo e così saltò fuori che non dovevo fare il militare ma sempre dopo averlo fatto, così mi disgustai e decisi di partire ancora all’estero e abbandonare la mia famiglia. Tutto cuesto Signor Franco volevo raccontarglielo prima ma non ho potuto perché non sapevo il suo indirizzo. Lei che è un buon Compagno ed è forte per fare le ballate se ritiene valido vorrei che me farebbe una ballata anche sul mio caso che penso ce ne saranno anche degli altri che le hanno passate come me tutto per colpa della Burocrazia militare e sporchi fascisti che sono i militari cioè ufficiali e sottufficiali che se ci tolgono la divisa rimangono come una merda al sole perché non sono capaci a niente solo che a rompere le balle a chi fa il suo lavoro. E noi poveri lavoratori oltre ad essere costretti all’emigrazione perpetua non possiamo più tornare a casa perché bisogna servire la patria come la chiamano loro.
Signor Franco se può fare una ballata la facia e mi facia sapere qualcosa che nel caso voglio avere il disco. Per il momento desidero avere i seguenti dischi
N. 1 Cantiamo insieme
N. 2 Canzoni in piazza
N. 3 Canzoni di lotta
N. 4 Canzone nostra
Poi non mi resta che ringraziarla per le sue belle frasi e per la sua lettera così rozza come piace a me. Allego £. 6.000 (seimila) ed attendo che al più presto mi arrivino i dischi.
Un cordiale saluto anche se lontano dal sempre Compagno Gavino Mele Hannover
PS: Se fosse in possesso degli indirizzi di Fausto Amodei e di Fabrizio De Andrè sarei lieti di averli. Grazie e ciao.
Gentile Franco Trincale
Appunto domenica, primo di aprile abbiamo avuto modo di vederla e di sentirla cantare nella città di Basilea. Chi le sta scrivendo sono due ragazze, figlie di emigranti residenti in Svizzera. Sinceramente parlando, le sue canzoni ci sono piaciute moltissimo perché rispecchiano veramente la realtà dei fatti attuali. Siamo rimaste soddisfattissime del vostro spettacolo, nonostante sia stato un po’ breve. Desideravamo comprarci il suo disco, ma sfortunatamente erano tutti terminati. Ci congratuliamo con lei perché compone canzoni magnifiche ed anche perché ha una bellissima voce che non desidera affatto inscatolarla; come invece hanno fatto i cantanti della tv, i quali non hanno fatto altro che inscatolare e presentare al pubblico canzoni senza senso, le quali analizzate esattamente non poggiano sulla realtà, bensì sulla falsità e sulla ipocrisia delle cose. In attesa di vederla ancora, Rosella e Lidia
In queste lettere degli emigranti se, quale compaesano, compagno ed emigrante respira la stessa diaspora di cui condivide istanze e militanze, come cantastorie Trincale è visto contemporaneamente quale portatore di un punto di vista esterno. Attraverso i suoi occhi e la sua voce ci si aspetta che le “cose” della lontananza siano “guardate da una certa distanza”, secondo quella istanza del vero che accomuna il realismo letterario meridionale ai poeti-cantastorie. Trincale, per gli emigranti, è la voce vera della lontananza, pensata, cioè, come voce diretta, non mediata, non filtrata, non corrotta dalle retoriche condivise, capace di recare cronache, questioni, denunce inedite dal paese d’origine per lo più minimizzate o ignorate dall’informazione ufficiale: e ciò spiega bene il perché ogni anno le comunità italiane all’estero impegnino notevoli quantità di denaro per invitare i cantastorie quali portatori di verità rare e dirette assenti dai mass media.
Il disco, dunque, vi affiora come grande banco di prova o stanza degli specchi direbbe Lombardi Satriani; specchio poetico-musicale dove gli emigranti possono riflettersi, “sentirsi narrati” direbbe Adriana Cavarero nella sua filosofia della narrazione, prendere coscienza delle proprie condizioni attraverso la voce di un cantastorie, Trincale, che ha tutte le potenzialità conoscitive di chi sta dentro e al tempo stesso fuori il fenomeno. Si tratta per lo più di lettere d’ammirazione, solidarietà, condivisione d’intenti; missive finalizzate all’acquisto di dischi; lettere d’ingaggio a concerti, manifestazioni culturali e politiche come a programmi radiotelevisivi di emittenti riconducibili alle attività degli italiani all’estero: dal Circolo culturale Rinascita di Colonia alla Redazione italiana di Radio Mosca, dal Civic Porto Empedocle Athletic Club di Brooklyn alla stazione radio WHBI di New York per il programma “A passeggio per il Bronx”, dalla Sezione PCI in Lussemburgo a quella belga, fino all’Unione Antidittatoriale Greca e all’Intercommissione di Basilea. Documenti di grande interesse in cui il disco compare quale supporto ideale a saldare il bisogno della voce tradizionale a quello della novità cronachistica e dell’innovazione tecnologica, ideologica, politica. Così, ancora, nella lettera dell’emigrante anarchico Nino Staffa del 1 luglio 1977, in cui la riflessione sul “compromesso storico”, si lega al fatto che “a mia madre gli hanno piaciute tante delle canzone, specialmente quelle con stilo più tradizionale. Mamma si ricorda quei giorni quando era ragazza nei quali durante le feste in quei paesi calabresi arrivavano i cantanti e i cantastorie dalla Sicilia!”. Così un’altra lettera del 1974 firmata “un gruppo di Compagni” che, confermando il successo ottenuto in Lussemburgo, elogia “il contenuto ed il modo nuovo di fare politica e di comunicare con le masse degli Emigranti”. A quelle inviate per conto di agenzie e associazioni sono da aggiungere centinaia di lettere scritte da operai, stagionali, manovali, commercianti, artigiani, insegnanti, studenti, simpatizzanti, compagni, italiani emigrati “che pur amando la loro terra Natale, sono costretti a cercar altrove, un tozzo di Pane”. Tra queste quelle di anarchici come, ad esempio, quella inviata da Colonia nel 1970 dal siciliano, minatore ragusano Franco Leggio, nel dopoguerra, assieme alla scrittrice anarco-antimilitarista Maria Occhipinti, tra i promotori del movimento Non si parte!, che si pone quale testimonianza drammatica dei regimi di perquisizione e sorveglianza allora riservati ai “militanti anarchici”. Oltre a esplicitare sintonie politico-ideologiche, tali lettere costituiscono puntuali resoconti dei successi ottenuti dal cantastorie nei suoi spettacoli (“è valso più il suo recital che 100 comizi di oratori politici”); dichiarano la stima per il suo impegno e realismo artistico e civile (“le sue canoni ci sono piaciute moltissimo perché rispecchiano veramente la realtà dei fatti attuali”); apprezzano in modo commosso ballate che “fanno avere le lacrime agli occhi” e che, tramite i dischi, la radio o la televisione, “portano nelle nostre case il calore e l’ansia della nostra terra lontana”. Da qui le incessanti, commoventi richieste d’acquisto di dischi; lettere che ne confermano l’arrivo e ne narrano gli ascolti, le emozioni ricevute, le donazioni: così, ad esempio, la lettera di “un gruppo di Compagni” che richiede “10 dischi 45 giri cioè 20 delle tue Ballate” per “introdurle nel giubochs del bar che molti connazionali frequentiamo”.
Dischi, fonocassette, cd, dvd che rivelano ascolti collettivi che legano tra loro le generazioni tramandandone storie, nostalgie, ideologie, lotte: “quei dischi che ho di lei – scrive dalla Svizzera il 14 settembre 1970 Gigliola Stefanelli, firmando la lettera anche a nome del padre Vincenzo - non li darei via nemmeno per tutto l’oro del mondo. […] ho imparato a comprendere le sue canzoni perché mio padre mi spiegava il significato e lui soprattutto non vuole sentire dire una sola parola che sia contro di Lei Signor Franco”. Del resto, come recita una mail inviata da Michael nel 2020 all’indomani della pubblicazione in internet dell’ultima sua raccolta di poesie e disegni intitolata Pensu, chiudu l’occhi e scrivu da me curata e pubblicata da Stampa Alternativa “c’è un legame speciale tra padre e figlia”.
Buonasera Sig. trancala, spero che tu e la tua famiglia stiate bene. Per favore scusa la grammatica povera perché sto usando un traduttore per inviarti questo. Il mio nome è Michael e vivo in America. La mia famiglia è arrivata in America nel 1954 sull’Andria Doria. Mia madre è morta di recente e ascoltavamo il tuo 45 “Caro papà” quando ero bambino. A causa di circostanze sfortunate, non sono mai stato in grado di imparare il dialetto siciliano, ma mi sto sforzando di inserire i testi nei dischi dei miei nonni in modo da poterli tradurre dalle mie zie che conoscono la lingua. Non riesco a trovare le parole per “La terroncina del papà” e speravo di poterle ottenere direttamente da te. Mia figlia Daniella di 4 anni adora la canzone e mi piacerebbe insegnarle le parole. Spero di cantare con lei un duetto di “Lettera al papà Lontano” quando sarà più grande. Io suono ancora e ancora per lei. Grazie per il tuo tempo. Saluti, Michael».
Simili testimonianze fanno allora comprendere il perché il cantastorie Trincale, dal 1969, decida di esplicitare la forza generativa che la relazione padre-figlia assumeva in quei contesti, destinando agli emigranti italiani e, in particolare, ai loro bambini Lettera al papà lontano, La terroncina del papàe Ladro di bamboline, la lunga serie dei Terroni e polentoni, ballate cantate assieme alla figlia primogenita Mariella purtroppo prematuramente scomparsa nel 1990. Più o meno negli stessi anni Trincale coinvolgerà tra l’altro anche la secondogenita Silvana quale piccola interprete di Proposta di legge, canzone, poi pubblicata nel 45 giri Verde, realizzato dall’Assessorato cultura tempo libero e giovani del Comune di Vercelli, sull’importanza degli spazi verdi nei contesti metropolitani. E si comprende perché il coinvolgimento delle figlie riguardi Ciccio Busacca, Giuseppe Ricotta, Pino Villa e altri cantastorie, non solo siciliani come il reggino Enzo La Face, anch’essi attivi negli stessi circuiti migratori.
Simili lettere rivelano l’importanza filosofica del disco che spesso ha contribuito a fare di Trincale e altri cantastorie veri e propri “oggetti di culto”: conoscitori del passato quanto, si presume, delle future implicazioni, cui ci si rivolge per consigli di carattere comportamentale, a volte per pronostici o rimedi sanitari e psicologici; secondo una prossimità al mondo della divinazione del resto riscontrabile nell’attività di ‘nnuvina vinturi svolta dal cantastorie Giuseppe Ricotta, come in quella erboristica di Strano e dei padri stessi di Busacca e Trincale. I dischi di Trincale vengono esaltati quali momenti dove il divertimento consiste in un liberatorio ritrovarsi, nel piacere di condividere una parola cantata, forte nel porgere alla riflessione corale i drammi comuni dell’emigrazione: così la lettera che, “con la richiesta di inviarci altri 50 dischi”, il 20 luglio 1970 Otello Signori scrive “a nome di tutti” gli “emigranti in Svizzera”, i quali sono “felici di TRINCALE, ma siamo orgogliosi e ci auguriamo che il nostro paese, non sia avaro di uomini come te. Continua la tua giusta lotta, con le tue canzoni, noi continuiamo la nostra lotta per poter tornare per sempre in Italia”. Testimonianze, queste, in cui l’empatia conoscitiva e politica espressa per Trincale s’alterna ancora alla lucida, amara presa di distanza dalle storie di vita fissate nei versi e nelle note, come dai problemi che sollevano: la “nostalgia di voler tornare”, l’abbandono della patria, lo smarrimento e l’alienazione, la xenofobia dilagante, la miseria, lo sfruttamento, la crisi. Le lettere, in questo senso, il più delle volte vengono inviate al cantastorie quali testimonianze della lontananza: lettere in cui gli emigranti si confessano ripercorrendo la propria vicenda, tra nascite e morti. Così quella di Sylvia Fornara, figlia di emigranti in Svizzera, che costituisce un viaggio psicoantropologico nella condizione degli “oriundi”. Altre volte gli emigranti confessano il sogno di poter assistere alla trasformazione della propria tragedia in musica e poesia, in disco esemplare; e ciò ad opera del loro, virtuoso cantastorie Trincale, il solo che potrà inciderla e tramandarla quale ulteriore esempio di storia sociale. È, ad esempio, il caso di Elena Bianchi che richiede il disco della ballata sul disastro di Mattmark avendo vissuto le condizioni dei lavoratori italiani impegnati nella costruzione della diga; di Alvaro Bizzarri che invita Trincale a comporre una ballata per non far “finire nel dimenticatoio” la storia di Alfredo Zardini, italiano caduto a Zurigo il 20 marzo 1971 per mano razzista, o di Gavino Mele che vorrebbe immortalata la sua fuga dall’Italia nel tentativo di sottrarsi a un servizio militare dal quale riteneva “doveva essere essente […] essendo capofamiglia di genitori già da anni in pensione”. I dischi, in altri termini, puntano a mantenere vigile l’attenzione, la risposta, l’incitamento reattivo del cantastorie, a stimolare le capacità d’osservazione, ascolto e intervento sociale a lui attribuite. Del resto, durante le permanenze all’estero, ritroviamo Trincale (già autore di un’interessantissima grafica cartellonistica oggi nell’archivio militellese) come assiduo pittore di dipinti di soggetti e situazioni-tipo riprese nei bar, nei circoli, nelle stazioni, nei luoghi frequentati dagli emigranti. Dunque è nei suoi occhi, nelle sue mani, nelle sue parole, nella sua voce, nella sua chitarra che molti continuano a riporre le proprie sofferte, emblematiche distanze e alienazioni politiche; affinché possano, diventando ballate e dischi, arricchire sempre più quella memoria collettiva capace di riesporle di piazza in piazza a nuove, coscienziose riflessioni. Così, del resto, avveniva in Sicilia, dove per significare ogni piccolo, grande evento si dice tuttora ci ficiru ‘a canzuna.
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