Messina 12 -12 aprile 2023

PENSARE e RICORDARE Luigi M. Lombardi Satriani e gli studi antropologici italiani.

Gli anni di Messina e della Scilia

Relazione di Mauro Geraci: Il canto popolare e i cantastorie negli studi antropologici di L.Lombardi Satriani


MAURO GERACI

IL CANTO POPOLARE E I CANTASTORIE NEGLI STUDI

DI LUIGI M. LOMBARDI SATRIANI

 

Che le prospettive poetiche ricavabili dai canti popolari e dalla canzone narrativa e politica italiana costituissero uno dei principali campi d’interesse di Luigi Lombardi Satriani me ne accorsi subito, sin da quando, nel 1980, appena immatricolato nella Facoltà di Lettere dell’Università La Sapienza di Roma, sostenni l’esame di Etnomusicologia con Diego Carpitella. Grande etnomusicologo con cui, tra l’altro, Luigi condivise per qualche anno la stanza a pianoterra che fu anche di Toschi, quando, nel 1987, dall’Università della Calabria approderà alla Sapienza. Tra i vari testi d’esame, oltre a Folklore come analisi differenziale di cultura curato dallo stesso Carpitella, in cui venivano ripresi due saggi dello stesso Lombardi Satriani riguardanti la lettura marxista del folklore, Carpitella faceva portare L’etnomusicologia in Italia, atti del primo convegno italiano di studi etnomusicologici svoltosi a Roma nel ‘73. Qui si trovava un altro saggio sempre di Lombardi Satriani, dall’emblematico titolo Folk music revival e profitto. Ed era l’unico a non occuparsi dei contenuti del folk music revival, cioè dei cantanti folk italiani e delle loro specifiche rivisitazioni della tradizione orale. Qui, al contrario, Lombardi Satriani presentava e analizzava, in una prima, ordinata tipologia, l’operato delle case discografiche – più o meno locali e globali, più o meno politicizzate e filologicamente orientate – che allora si lanciavano nei profitti del folkore musicale, secondo motivazioni, diffusioni e fruizioni diverse, prese in esame dallo studioso. Fu un saggio che mi sorprese moltissimo: l’unico che volgesse attenzione più che agli oggetti, cantori, strumenti, repertori, stornelli e ragioni metriche, così com’era uso fare nell’antropologia non solo italiana di quei tempi, ai soggetti, produttori e fruitori, ossia alle poetiche e alle politiche – tarderanno a dire antropologi d’oltre Atlantico – dei contenitori, cioè dei supporti, dei circuiti, dei commerci, delle riscritture, degli indirizzamenti ideologici, dei patti discografici che, nella gestione del folk music revival, innocenti e ininfluenti non furono e non sono.

A me, che in quegli anni mi trovavo a costruire un archivio e uno studio approfondito della canzone narrativa del Sud, il nome di Lombardi Satriani risuonò presto come costante nuova, preziosissima, politica, etica, scientifica allo stesso tempo. Costante, anche quella del canto popolare, che compariva pressoché in tutti gli studi dell’antropologo che divorai presto con passione e con cui entrai presto in rapporto dialettico visto che, nel 1989, ebbi Lombardi Satriani proprio come correlatore della mia tesi di laurea su Jack R. Goody e l’antropologia comparativa (il mio correlatore avrebbe dovuto essere il carissimo Antonino Colajanni la cui presenza qui, oggi, mi riempe di vera gioia, ma, come nuovo titolare della cattedra di Etnologia di Bernardo Bernardi che andava in pensione, decisero che Lombardi Satriani ereditasse il carico delle correlazioni pregresse); il mio relatore restò invece proprio l’etnologo, africanista Bernardo Bernardi, vicinissimo alle prospettive funzionaliste dell’antropologia sociale britannica, carissima, straordinaria persona che ricordo e cui debbo anche moltissimo nella mia formazione. Prospettive comparative che, applicate soprattutto alle variabili tra oralità, scrittura e pensiero furono determinanti nei miei studi successivi sui poeti-cantastorie del Sud che, come vedremo, fu Lombardi Satriani a incoraggiare oltre ogni limite. In seduta di laurea, oltre allo stesso Carpitella, c’era Pierluigi Petrobelli, insigne musicologo e già allora direttore dell’Istituto Nazionale di Studi Verdiani di Parma. Quella del rapporto tra la canzone popolare e Lombardi Satriani per me divenne così, sempre più, una scoperta incessante, entusiastica, piena di nuovi spunti, da allora si può dire fino all’ultimo giorno di vita dello studioso che divenne Maestro. Il 16 aprile dello scorso anno, proprio un anno fa, qualche settimana prima che ci lasciasse, Luigi m’invitò nella sua casa romana a presentare le ultime, numerose ballate prodotte dai cantastorie contemporanei, specie quelle sulla guerra in Ucraina e sul coronavirus, che trovate raccolte su Pandemikon.org e in una sezione specifica de Il cantasatorie on line (erede della grande rivista Il cantastorie. Rivista di tradizioni popolari dell’AICa - Associazione Italiana Cantastorie, dove gli articoli di importanti cantastorie come Lorenzo De Antiquis, Pietro Corbari, Cicciu Busacca, Turiddu Bella e Franco Trincale dialogavano con quelli scritti da Leydi, Carpitella, Zavattini, Pasolini, Bermani, Vezzani ecc…). Carpitella ne fece ordinare l’intera serie nella Biblioteca di Tradizioni popolari della Sapienza e ne consigliava fortemente la lettura agli studenti. Una scoperta progressiva e partecipata, dicevo, che, per quanto riguarda lo specifico ambito della canzone narrativa e delle sue prosecuzioni, ho vissuto assieme al mio Maestro in un percorso che cercherò qui di condensare ma sul quale tornerò presto in uno scritto più esteso e particolareggiato.

Ben prima del suddetto saggio del 1973 Folk music revival e profitto, i canti popolari appaiono dall’inizio quale tratto etnografico-documentario già nel primo importante lavoro dell’antropologo, Il folklore come cultura di contestazione, pubblicato come dispensa nel 1966 e nel ‘68 nella primissima edizione per la Peloritana editrice. Scritto, poi ripubblicato in altre edizioni nazionali (Guaraldi, Rizzoli) assieme ad altri saggi sullo stesso tema, che, sappiamo, ebbero un ruolo dirompente nel dibattito antropologico e non solo italiano. Tra questi I livelli contestativi del folklore e La funzione narcotizzante del folklore saggi che per la loro centratura sul canto popolare Carpitella nel 1976 volle includere nella sua curatela Folklore e analisi differenziale di cultura: materiali per lo studio delle tradizioni popolari, pubblicata da Bulzoni di Roma. Nelle critiche culturali che animano questi tre primi scritti e che vedono una puntualissima rielaborazione del pensiero gramsciano in funzione etnografica e storico-antropologica, lo studioso attinge ampiamente alle raccolte di canti popolari di tradizione orale ma anche di proverbi, racconti, modi di dire diversamente compilate, tra Otto e Novecento, da folkloristi quali Giuseppe La Farina, Giuseppe Pitrè, Salvatore Salomone Marino, Serafino Amabile Guastella e Antonino Uccello in Sicilia, Raffaele Corso e Raffaele Lombardi Satriani in Calabria, Ernesto de Martino ed Enzo Cervellino in Lucania, Giuseppe Porto e Tommaso Bruni in Abruzzo, Annabella Rossi in Campania, Bonifacio Samarani, Caterina Santoro ed Eugenio Restelli in Lombardia, Cristoforo Pasqualigo, Angelo Dal Medico e Gian Antonio Cibotto in Veneto, Aldo Spallicci in Emilia Romagna, Fortunato Bellonzi in Toscana, Giggi Zanazzo a Roma, Giovanni Spano in Sardegna, solo per citarne alcuni. Oltre allo studio di canti e proverbi presenti in tali raccolte, che Lombardi Satriani sostanzialmente riprende quali importanti elementi di verifica dell’intensità e della direzionalità delle istanze politico-contestative riscontrabili nella “cultura folklorica”, compare già la forte attenzione dell’antropologo verso le letterature popolari e, in particolar modo, verso la canzone narrativa scritta e stampata che, vedremo, costituirà un filo rosso in tutta l’attività politica e scientifica dello studioso quale campo d’interesse originale nel panorama di un’antropologia italiana che, tranne rare, preziosissime eccezioni (penso, in particolare, ai bellissimi studi di Giuseppe Cocchiara e, soprattutto, di Antonino Buttita sui cantastorie siciliani Busacca e Santangelo sul finire degli anni Cinquanta, per gli Archivi del Museo Pitrè), era al contrario affannosamente tesa a ricercare l’autenticità orale della cultura popolare: “Verso la fine del 1800 - nota infatti Lombardi Satriani già nel 1966 - alcune tipografie, tra le quali la Salani di Firenze e la Campi di Foligno, iniziano a stampare, a larga tiratura, fogli rettangolari con sopra stampate storie di vario genere – di guerra, d’amore, di delitti, di disastri naturali, oscene, canzoni in genere – con la raffigurazione di una o più scene relative all’episodio. Questo tipo di stampa, che ha numerosissimi precedenti europei nell’imagerie populaire (come mostrano studi quali quelli di Rudolf Schenda) a partire dalla diffusione della stampa, è creata esclusivamente per la classe subalterna che, almeno in quell’epoca e indipendentemente dai successivi fenomeni di revival, ne è l’unica consumatrice”.

Da lì, nel 1973 e 1974, l’attenzione per le manipolazioni borghesi e mediatiche del folklore passa di nuovo attraverso la cartina di tornasole del canto popolare, nel già citato Folk music revival e profitto e in Menzogna e verità nella cultura contadina del Sud, pubblicato dall’editore Guida di Napoli. Qui Lombardi Satriani riflette, ad esempio, sull’inserimento del folk musicale a Canzonissima: “attuato attraverso modalità specifiche di distorsione della parte di folkore prescelta. Anzitutto, l’aver presentato come di fatto omogenei i canti popolari – le cui finalità essenziali sono in parte espressive, in parte contestative, pur a diversi livelli e con gradi profondamente differenziati – e le canzoni di musica leggera – la cui finalità essenziale è commerciale – costituisce già un equivoco grossolano. Il brano folklorico, anche quando è stato reso rigorosamente, ha subito di fatto un processo di decontestualizzazione e di dolcificazione. Dell’ambiente storico e sociale e culturale in cui quel brano folklorico ha svolto e/o svolge una precisa, anche se complessa, funzione nulla è rimasto nella ricostruzione televisiva, anzi, i canti popolari inserendosi disarmonicamente nel clima ottusamente ovattato e mondano-scherzoso della trasmissione, hanno acquistato di fatto una patina mielata che ne ha consentito di fatto la degustazione. E’ in questa prospettiva gastronomica che il folklore è stato ammannito a Canzonissima, una prospettiva che, mentre afferma di dire la verità folklorica, manipolandola, la trasforma in menzogna; come ci ha avvertito Brecht: ‘La verità può essere taciuta in molti modi’”. Il ricorso a Brecht, autore del teatro dialettico e vicinissimo all’effetto di estraniamento dei bankelsanger, cantastorie o cantimpanca tedeschi, qui non è casuale ma tassello di un mosaico più ampio che figura dentro l’antropologia di Lombardi Satriani, quello dei cantastorie e della canzone narrativa che tra un po’ vedremo più da vicino.

Non prima d’aver ricordato in Diritto egemone e diritto popolare. La Calabria negli studi di demologia giuridica, scritto nel 1975 assieme a Mariano Meligrana, il ricorso a canti popolari e proverbi quali depositi d’antiche consuetudini giuridiche agrarie. Ricordo le corpose sezioni antologiche del volume dedicate ai Canti calabresi di carcere, alla storia U briganti carceratu di Francesco Maria De Simone, ai Canti briganteschi di Carlopoli, ai Proverbi giuridici italiani di Raffaele Corso. Repertori poetico-musicali in cui la ricerca di elementi ambivalemtemente contestativi e conservativi del folklore s’unisce a quella per la ricostruzione storica e il riconoscimento antropologico del diritto consuetudinario meridionale, così stonato rispetto a quello piemontese, albertino, nazionale. Interesse politico e giuridico che, nel ‘78, motiva la cura e la splendida introduzione all’eccezionale opera Risorgimento e società nei canti popolari siciliani di Antonino Uccello, apparsa per la prima volta nel 1961. In essa Lombardi Satriani nota come “nel mondo popolare non esista solo il diritto folklorico; esistono anche una serie di modalità con le quali il diritto attuale vigente viene vissuto dalle classi subalterne, la reazione di queste alle istituzioni, ai mutamenti di leggi, alle nuove formazioni politiche e così via. In questa prospettiva il folklore siciliano postunitario documenta ampiamente le reazioni delle classi subalterne al nuovo assetto politico italiano, alle nuove istituzioni, alle nuove leggi e l’atteggiamento con il quale viene vissuto in Sicilia il periodo successivo alla unificazione”. Con postmodernità sorprendente e davvero unica negli orientamenti antropologici del tempo, Lombardi Satriani qui inizia a guardare “da una certa distanza”, direbbe il tanto grande quanto ancora sottostimato antropologo degli antropologi Giovanni Verga, anche la sua stessa prospettiva gramsciana. Scrive: “Tali canti non vanno così letti in esclusiva chiave rivoluzionaria, sia per la ragione di carattere generale che tale chiave rischia di sovrapporre ai documenti popolari una nostra immagine delle classi subalterne, che sviluppano, in effetti, nella cultura folklorica un’ambivalenza di fondo, sia perché l’opposizione allo Stato unitario fu condotta anche da un angolo visuale conservatore e venne strumentalizzata dalle forze più reazionarie”. Ambivalenza tra rivoluzione antiborbonica e conservazione antirisorgimentale che, nel 1992, tornerà in Risorgimento e Mezzogiorno, atti dell’omonimo convegno svoltosi tra la Sila e Genova nel 1988 e curati da Lombardi Satriani ed Elena Bertonelli. E il gioco di silenzi e voci presenti, a livello retorico e simbolico, nei canti popolari costituirà del resto la trama portante d’ogni capitolo che compone la celebre raccolta Il silenzio, la memoria, lo sguardo pubblicata da Sellerio nel 1979. Penso al Monologo sul silenzio folklorico che diventa “epifania dei poveri, nel senso che il silenzio si iscrive in un ordine di verità – la verità storica del dominio – e la parola in un ordine del potere: chi tene a lengua va in Sardegna recita un proverbio napoletano ribadendo l’uso della parola quale mezzo per acquisire il potere”. Poi, per fare altri esempi, penso al saggio sulla Scena folklorica dove il rito e il teatro fa delle architetture paesane un permanente spazio scenico popolare; penso a La parola come segno folklorico dedicato a Luigi Accattatis, ai saggi dedicati a Raffaele Lombardi Satriani e Serafino Amabile Guastella grandi studiosi e raccoglitori di canti popolari, penso a quelli dedicati ad Antonio Pigliaru e all’orizzone giuridico-folklorico presente nel proverbiale folklore barbaricino, penso, infine, al vero e proprio “metodo di analisi dei testi popolari” che Lombardi Satriani elabora nell’ultimo saggio de Il silenzio, la memoria e lo sguardo dal titolo Mimetizzazione folklorica e opacità dello sguardo. Metodo atto a scovare quei dispositivi retorici e simbolici che faranno di detti, preghiere, lamentazioni funebri, canti processionali e rituali, proverbi le vere e proprie fondamenta etnografiche de Il ponte di san Giacomo. Ideologia della morte nella società contadina del Sud, pubblicato con Mariano Meligrana nel 1982. Dispositivi narrativi che si riveleranno efficacissimi nel gestire e ricomporre ogni contrapposizione tra mondo dei vivi e mondo dei defunti, tra l’irrelato grido di disperazione e le cautele psicosociali del pianto funebre e delle tradizionali liturgie del cordoglio.

Potrei benissimo continuare a percorre la strada dei canti popolari che puntellano le etnografie di altre opere più tarde dello studioso: da Pulcinella allo Sguardo dell’angelo, da La stanza degli specchi a De Sanguine secondo un’attrazione per la parola poetica che culminerà ne L’Evasione dai giorni del 2015 e in Omnia vincit amor del 2017, cioé nelle sillogi che vedono Luigi stesso farsi produttore di poesia, secondo un trasporto conoscitivo che capisco perfettamente e che, anch’io, in modo diverso, mi sono trovato a vivere frequentando il mondo dei cantastorie sin da piccolo, poi studiandolo ed entrandone progressivamente a far parte come riconosciuto interprete e continuatore. E’ un percorso che qui, tuttavia, non proseguo se non per quel che riguarda, appunto, l’area della canzone narrativa che, sin dall’inizio della sua attività, Lombardi Satriani ha mostrato di seguire con particolare attenzione e passione.

Giorni fa, a Milano, ricordandolo con Franco Trincale, chiesi al grande cantastorie ormai ottuagenario, quando ebbe modo d’incontrare Luigi la prima volta. Mi disse che fu Luigi a contattarlo per invitarlo a cantare in Calabria, a Briatico, tra il 1968 e il 1970, per una serata dedicata alla canzone degli emigranti e degli operai, essendo dal 1958 Trincale diventuto voce principe del movimento operaio e degli emigranti italiani al nord e all’estero. Recentemente in due saggi, pubblicati sulle riviste Dialoghi Mediterranei e Humanities, ho proprio trascritto e studiato a fondo i fitti carteggi tra Trincale e gli emigrati italiani all’estero (in Svizzera, in Francia, in Germania, negli Usa, in Australia dove, tra gli anni Sessanta e Settanta, il cantastorie veniva spessissimo invitato in tournee dove figuravano anche i nomi di Domenico Modugno, Giulietta Sacco, Fabrizio De Andrè).  Carteggi in cui gli emigranti-operai si rivolgono al cantastorie per raccontarsi, nel tentativo di far divenire i propri particolari trascorsi, storie cantate da portare in piazza quali testimonianze di storie vissute e lotte comuni su cui continuare a riflettere. Dopo qualche anno, nel ‘74, fu ancora Lombardi Satriani a coinvolgere Trincale nella realizzazione del lungo documentario Turno C. I canti del lavoro e la voce degli operai che la Rai stava preparando sui rapporti tra canzone contadina e canzone operaia; filmato, a cura di Paolo Luciani, molto interessante che, in un piccolo brano, avremo occasione di presentare e visionare insieme nel pomeriggio.

Contemporaneamente in Folklore e profitto, nella bellissima parte dedicata al Folkmarket e alla ripresa di temi folklorici in più ampi circuiti mediatici e pubblicitari, Lombardi Satriani prosegue un interesse già avviato nel ’68 quando, su indicazione e con Annabella Rossi, si era recato a Paternò (Catania) a incontrare il grande cantastorie sicliano Cicciu Busacca (voce storica del poeta Ignazio Buttitta) e acquistare da lui, per conto del Museo delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma, circa una ventina di bellissimi cartelloni dipinti da Vincenzo Astuto di Messina. Cartelloni alcuni dei quali riesposti nel 2019 in occasione della mostra dedicata dal Museo romano, al grande cantastorie a trent’anni dalla sua scomparsa. In Folklore e profitto, a proposito di Busacca, Lombardi Satriani ricorda, così, un’iniziativa avviata allora in Sicilia dalla Galbani, visto che Buttitta e Busacca, ma anche Orazio Strano e Turiddu Bella con le loro storie contro la mafia e il latifondismo, sull’emancipazione femminile, sugli scandali della guerra e del dopoguerra riempivano letteralmente le piazze e non soltanto quelle bracciantili e della Sicilia. Quella volta la Galbani “noleggiò il noto cantastorie siciliano Ciccio Busacca e gli organizzò un giro nei vari paesi dell’isola. In ogni piazza di paese Busacca invece di storie folkloriche cantava di un eroe, il cui nome, naturalmente dialettale, era derivato da quello della ditta stessa: Galbaliuni. Tale eroe – moderno sostituto degli eroi mitici e dei Santi – con la sua forza fermava i treni e compiva numerose altre prodezze; il suo vigore, ovviamente, derivava dal consumo dei prodotti della ditta organizzatrice degli spettacoli. Dopo lo spettacolo del cantastorie, i tecnici della Galbani, costituenti l’equipe organizzata per il giro siciliano, si recavano presso i rivenditori, distribuendo i prodotti Galbani e l’omaggio appositamente ideato: Galbaliuni, il pupazzo raffigurante l’eroe della storia” che scendeva dalle montagnie sfamando con pezzi tratti dal suo corpo fatto di miracoloso formaggio lombardo i poveri contadini siciliani. Aspetto commerciale che torna, del resto, in altri grandi cantastorie come Trincale, scritturato dal Latte Ala, da Cronaca Vera che regalò lui pure un camper e dalla svizzera Swatch per cui scrisse il contrasto tra l’orologio tradizionale e quello in plastica ecc… ma sulla dimensione pubblicitaria e commerciale dei cantatorie il discorso sarebbe molto molto lungo.

Nel ‘74 troviamo Lombadi Satriani interagire anche con un altro cantastorie, il calabrese Otello Profazio, scrivendo l’introduzione a un importantissimo lp, contenente molte ballate tratte da testi poetici di Ignazio Buttitta, uscito nella celebre collana folk della Fonit-Cetra e intitolato Qua si campa d’aria. I canti presenti in questo disco, scrive l’antropologo, “appartengono a due livelli nettamente diversi; vi sono, infatti, canti autenticamente popolari (Cristofuru Culombu chi facisti?, Tira, nimicu miu, tira la pinna, Lu zappaturi, Amici amici ca m’Palermu jti) e vi è la poesia dialettale d’autore di Ignazio Buttitta che traduce l’esigenza di un riscatto dalla subalternità, che è l’esigenza fondamentale espressa dalla cultura folklorica. Buttitta, testimone partecipe della realtà siciliana – i cui mali sono aggravati dalla mafia, dal potere clericale che nel Sud assume scopertamente il volto della sopraffazione e di un ottuso integralismo (Mafia e parrini), del sottogoverno e del clientelismo (Amici importanti), dice la miseria del contadino (Che lasci quando muori?), la tristezza, la solitudine connessa all’emigrazione, solitudine totale per cui l’emigrante è costretto ad abbracciarsi per sentirsi stringere, a chiamarsi per non essere solo (Strade e paesi)”. Dopodiché il rapporto tra Lombardi Satriani e la canzone narrativa prosegue, non solo nelle introduzioni alle due raccolte di Profaziate sempre di Otello Profazio ma, negli anni Ottanta, nel lavoro comune e nel supporto incessante, continuo, multiforme che mi ha dato nella conduzione della ricerca da me condotta tra la laurea e dottorato, il cui primo esito è stata la monografia Le ragioni del cantastorie. Poesia e realtà nella cultura popolare del Sud pubblicata nel 1996 e ristampata nel ‘98 proprio con una lunga introduzione di Lombardi Satriani. Di quegli anni ricordo la prima presentazione del volume avvenuta a Roma, nell’associazione Annoluce gestita da Lia de Martino, figlia dell’etnologo napoletano, assieme al grande giornalista calabrese e palermitano dell’Ora, Orazio Barrese – anche lui esperto di mafia e antimafia, e di canzone narrativa… fu presente nel 1955 alla prima del Lamentu pi la morti di Turiddu Carnivali scritta da Ignazio Buttitta e cantata da Cicciu Busacca, davanti a Carlo Levi, Cesare Zavattini, Roberto Leydi. Ricordo, inoltre, le due importantissime lezioni-concerto che nel 1998 e nel 1999 organizzammo alla Sapienza con il cantastorie Franco Trincale, riprese anche dalla Rai di Vincenzo Mollica. Il giornale Il manifesto vi dedicò un intero numero. E ricordo nell’ottobre 1999 la rassegna organizzata dal Comune di Militello in Val di Catania per celebrare in otto giorni i quarant’anni di attività di Franco Trincale in cui Lombardi Satriani interevenne con me assieme a Tito Saffioti e Vincenzo Consolo. Un rapporto, quello tra Lombardi Satriani e la canzone narrativa, che non s’interromperà mai fino al 2019, quando lo ricostruì per filo e per segno in occasione di Avvicinati Amici c’è Busacca, la mostra su Busacca che organizzammo al Muciv ma anche all’Istituto Centrale dei Beni Audiovisivi di Roma. Un rapporto, quello col canto popolare e i cantastorie, che, per concludere, rivela l’apertura dialettica del campo etnografico e antropologico osservato da Lombardi Satrtiani; la sua straordinaria attenzione alle storie di vita, ai percorsi umani, al fiorire incessante delle narrazioni, spessissimo poetico-musicali, che restituiscono tutta la dialogicità, la permeabilità, la complessità (per dirla, insomma, con una parola che non mi piace tanto) della cosiddetta cultura folklorica o popolare. Una complessità folklorica per cogliere la quale Lombardi Satriani finisce per avanzare una strumentazione teorico-metodologica propria, nient’affatto ricalcata sugl’incipienti modelli interpretativistici d’oltreoceano, ma umilmente tracciata nell’intelligentissimo e abilissimo superamento e proseguimento di Pitrè, Raffaele Lombardi Satriani, Cocchiara, Toschi, dello stesso Gramsci e di de Martino. Opera di proseguimento e superamento critico sul quale, credo, moltissimo ci sarà ancora da riflettere. È per tutta questa pregressa affinità elettiva che Luigi ambiva a rientrarvi, come a volersi incarnare in quella stessa dimensione narrativa, poetica e musicale. Qualche mese prima di morire mi disse: “Sono sicuro che quando morirò tu scriverai su di me una ballata. Ti pregherei, se puoi, di scriverla prima così anch’io la posso sentire”. Gli risposi di no, che non avrei potuto farlo: come si fa a scrivere una ballata su un morto che ancora è vivo; mancava, per fortuna, tutto il necessario realismo sentimentale. Glielo scrissi pure, circa un mese prima della scomparsa, nella dedica che gli feci regalandogli una copia dell’Almanaccu sicilianu del 2022, la bellissima pubblicazione che puntualmente, da cinquant’anni, fa l’editore Pungitopo di Lucio Falcone. Su quel numero c’era un mio articolo sul realismo di Antonello da Messina in rapporto a quello letterario meridionale e dei cantastorie; mettevo a confronto l’originale del sorriso dell’ignoto marinaio di Antonello, conservato a Cefalù, con quello dipinto al contrario che, in un disegno, sul finire degli anni Sessanta, Guttuso donò a mio padre Giuseppe Geraci, che era giornalista a Palermo, al Giornale di Sicilia, prima di andare a Roma. Nella dedica scrissi a Luigi che quella ballata non l’avrei mai scritta per il semplice motivo che lui non sarebbe mai morto. E così è stato perché la ballata che ho scritto dopo – La surgiva d’u mari, che oggi pomeriggio vi farò ascoltare con mio enorme piacere – vuol testimoniare non la morte bensì l’immensità e la durevolezza degli insegnamenti di Luigi Maria Lombardi Satriani.

 

 

Mauro Geraci

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