“VITTI NA CROZZA” Storia di una canzone.

di Nicolò La Perna

 

La canzone “Vitti na crozza” è ritenuta la canzone siciliana più conosciuta fuori dalla Sicilia e
spesso viene identificata con la Sicilia, anzi viene portata a vessillo canoro della Sicilia. Varie sono le versioni cantate, dalle più antiche (Michelangelo Verso anni 1950) alla versione di Modugno, Carlo Muratore, Alfio Antico, Otello Profazio, Rosanna Fratello, Franco Battiato, Gianna Nannini, Lauria Pausini, Amalia Rodriguez, I Mattanza, Luigi Di Pino, Gian Campione, vari complessi e gruppi folkloristici etc.
Ricercando nei libri di canzoni siciliane quali le raccolte di Alberto Favara (Salemi 1863-1923), etnomusicologo, di Lionardo Vigo (Acireale 1799-1879), poeta e filologo, di Giuseppe Pitrè (Palermo 1841-1916), scrittore e folclorista, Francesco P. Frontini (1860-1939), musicista e compositore, Salvatore Salamone Marino (Borgetto 1847-1916), folclorista ed altri, non vi è traccia di questa canzone.
Soltanto un accenno nell’archivio per lo studio delle tradizioni popolari di Pitrè e Salomone, 1885 in cui c’è questo verso: “A li dannati — di lu primu cori Fui curiusu e ci vosi spiari: « E siti greci, cristiani o mori , Comu patiti tanti peni amari? » che evidentemente benché vi sia il verso “fui curiusu e ci vosi spiari” non si riferisce alla canzone “Vitti na crozza” ma ad altra poesia con altro argomento.
Il fatto, però, che non si riscontra in questi libri non significa che la canzone “Vitti na crozza” non sia canzone popolare, intendendo con il termine di canzone popolare un canto nato sicuramente da un autore e che però nel tempo ha subito sottrazioni, aggiunte, migliorie nel corso dei tempi e in vari contesti locali, per cui l’eventuale testo primitivo molto si può discostare dal testo corrente.

E’ sicuro che gli autori sopra riportati che hanno raccolto migliaia di canzoni siciliane già dal 1850, non hanno censito tutti i paesi siciliani, fermandosi ognuno nel territorio di appartenenza essendo impossibile per ognuno di loro girare tutti i paesi e raccogliere tutte le canzoni, solo per fare un esempio non ho trovato nei libri di raccolta di canzoni siciliane canti di Licata; per cui il non trovare il testo della canzone “Vitti na crozza” nei testi di raccolta di canzoni siciliane non significa che questo canto non è di origine popolare, ma soltanto che non è riportato nei testi di raccolta;
In verità sulle origini di questo canto vi sono varie interpretazioni.

La più comune è che questa canzone nella parte testuale sia una poesia popolare e che il maestro Franco Li Causi abbia scritto la partitura. Anche su questo c’è da considerare il fatto che un maestro di musica può scrivere un pezzo musicale ex novo, oppure può scrivere un pezzo musicale riportando in partitura un motivo cantato da altri, oppure ancora il pezzo musicale finale può essere un mix di una canto ascoltato oralmente e di una sua fantasia o interpretazione personale.

Veniamo ai fatti, riportati dal figlio del maestro Li Causi e dal figlio del tenore Verso: Michelangelo Verso Junior (anche le loro affermazioni debbono essere presi non per oro colato o certezze assolute potendosi riscontrare in ciò che dicono degli interesse personali (diritti d’autore) che possono inficiare in parte le affermazioni.
Riferiscono i due figli che intorno agli anni 1950 il regista Pietro Germi venne in Sicilia per iniziare le riprese del film “Il cammino della speranza”. Ad Agrigento Germi incontrò il Maestro Franco Li Causi al quale chiese di comporre “ un motivo allegro-tragico-sentimentale “ da inserire nel film. Il maestro fece ascoltare alcune sue composizioni ed altre di natura popolare che non soddisfarono il regista. Durante alcune riprese del film effettuate a Favara in un momento di pausa un minatore, Giuseppe Cibardo Bisaccia, recitò a Germi una poesia popolare, i cu versi sono: “Vitti ‘na crozza supra nu cannuni / fui curiusu e ci vosi spiari / idda m’arrispunniu cu gran duluri / muriri senza toccu di campani.”

Al regista Germi, i versi piacquero a tal punto da chiedere a Li Causi di musicarli. Il maestro riascoltò la poesia dal minatore prendendo appunti anche di una traccia musicale per come l’aveva decantata il minatore e rielaborando il tutto anche per la sua grande esperienza musicale scrisse la partitura di “Vitti na crozza”. La canzone forma la colonna musicale dei titoli iniziali del film.
Il film ebbe un buon successo e la canzone cantata nel film venne ascoltata da moltissime persone in tutta Italia e divenne molto conosciuta tanto che il maestro Li Causi registrò un vinile a 78 giri con la voce del tenore Michelangelo Verso coadiuvato dal coro del quartetto Francesco li Causi, con la chitarra del fratello del maestro Salvatore Li Causi, che fa da accompagnamento al mandolino solista (Francesco Li Calzi) ed al basso suonato da uno strumentista dell’orchestra Angiolini; l’incisione avvenne a Torino negli studi della Cetra. Il disco ottenne un invidiabile successo in tutta Italia e il tenore ebbe grande fama tanto da essere ingaggiato subito da managers americani che lo fecero esibire nei migliori teatri americani, anche con altri tenori italiani quali Beniamino Gigli.

Diversa è la testimonianza che da dei fatti Alfieri Canavero, operatore di seconda macchina, aiuto del direttore di fotografia Leonida Barboni nello stesso film di Germi: "Abbiamo iniziato le riprese ad Agrigento, nelle miniere di Zolfo. Ricordo che i minatori erano in sciopero da 2 giorni. Erano sottoterra, nudi, per il caldo insopportabile. Stavano cantando "Vitti'na crozza" quando la troupe scese giù con il regista Pietro Germi. Registrammo quel canto, che andava perfettamente a tempo con la biella della pompa dell'aria. Con quella registrazione iniziammo il film".
In un’altra intervista lo stesso Alfieri Canavero da altri particolari: “Un anno dopo abbiamo attraversato tutta l'Italia dalla Sicilia al Monginevro per girare Il cammino della speranza. Ho un indelebile ricordo delle riprese realizzate in una miniera di zolfo siciliana. Scesi sotto terra e mi parve di trovarmi in un girone infer­nale: dalle rocce emanava un calore fortissimo, i minatori - che stavano scioperando da una settimana - erano seminudi o nudi del tutto. Portavo con me uno dei primi registratori audio magnetici, che aveva un filo di acciaio al posto del nastro. Con questo piccolo apparecchio regi­strai un indimenticabile coro dei minatori che cantavano Vitti ‘na crozza sul ritmo del motore un po' sbiellato che pompava l'aria a quella profondità. (vedi pagina web: http://web.tiscali.it/piemontemovie/person/per_cana.html
Da quanto afferma Alfieri Canavero i minatori cantavano questa canzone, per cui è lecito dedurre che per cantarla in coro, questa canzone era già nel patrimonio di canzoni che i minatori da tempo cantavano, si potrebbe anche argomentare che il particolare lavoro gravoso, usurante e stressante in miniera, illuminata soltanto da piccole lucerne ad acetilene, ben si addiceva all’animo nero dei lavoratori (in sciopero) e che un canto triste, un colloquio tra un vecchio bene si accordava al loro morale basso. Quindi la canzone, secondo il Canavero, è precedente al 1950, e la si può classificare tra le canzoni popolari cantate per diletto dai minatori anche con lo scopo di alleviare la fatica lavorativa ed il caldo; io suppongo che il maestro Li Causi fu incaricato dal regista Germi, estasiato della forza espressiva di questa canzone, e dal contesto sociale delle profondità della miniera in cui ebbe ad ascoltarla, a trascrivere il movimento armonico e l’accompagnamento per inserirla come leit motiv del film, cosa che il maestro fece a partire dal canto dei minatori.
Il maestro Li Causi, come fanno molti musicisti, registraò alla SIAE (Società Italiana Autori ed Editori) in data 16/03/1950 la canzone “Vitti na crozza” sotto il suo nome Francesco Li Causi, via Arco di San Francesco di Paola, 23 Agrigento. Il regista Germi, che ha commissionato a Carlo Rustichelli, famoso autore di colonne sonore di film, non cita nei titoli di inizio e di coda la paternità della musica “Vitti na crozza” per cui da qualcuno erroneamente la canzone viene attribuita a Carlo Rustichelli. In realtà altri iscrissero questa canzone alla SIAE, ma il giudice di Catania, dopo dieci dalla causa intentata da Li Causi, decretò che il padre di “Vitti na crozza” fosse Francesco Li Causi, che nel frattempo era deceduto.
Nel film “Il cammino della speranza” Renato Terra interpreta un personaggio inventato da Fellini: Mommino il chitarrista, quello che canta “Vitti na crozza”. Ma Renato Terra era doppiato: a cantare veramente era un certo Peppino Ferrara.
C’è un’ulteriore interpretazione dei fatti: il poeta Pino Giuliana di Caltanissetta mi ha riferito come negli anni in cui Germi lavorò sul film “Il cammino della speranza” si trovasse a lavorare ad Aragona, e ricorda come alcune scene vennero girate nel cimitero e nelle miniere di Aragona, ma ricorda ancora di un suo amico certo prof. Di Maria, etnomusicologo, che gli riferì confidenzialmente di aver procurato a Germi, su richiesta del regista partitura e testo della canzone “Vitti na crozza” e dopo che Germi l’aveva ascoltato dai minatori. Il Di Maria, consegnò il materiale ad Agrigento (luogo in cui risiedeva la troupe cinematografica) anche in presenza del maestro Li Causi. (da notare che la testimonianza è de “relato” e quindi poca attendibilità).

Questi i fatti riportati dal figlio del maestro Li Causi, dal figlio del tenore Verso e dalle testimonianze dell’operatore di macchina Alfieri Canavero. Di certo c’è: una registrazione alla SIAE effettuata dal maestro Francesco li Causi, la produzione di un disco cantato dal tenore Verso, la non presenza negli autori di canzoni siciliane di questa canzone.
Il fatto che Canavero abbia ascoltata la canzone può voler dire che la canzone era preesistente, ma potrebbe essere anche che il motivo, scritto dal li Causi, essendo molto orecchiabile, si sia diffuso in poco tempo tra i minatori.

Altre persone (non identificate) affermano che la canzone “Vitti na crozza” era cantata dai soldati siciliani nelle trincee del Carso o nella battaglia del Piave durante la guerra del 1914-18, altri affermano che veniva cantata dai garibaldini siciliani nella guerra di liberazione dai Borboni da parte di Garibaldi, dei mille e soprattutto dei patrioti siciliani. Qualcun’altro, non identificato, fa risalire la canzone al tempo medioevale portando per motivazione il fatto che la canzone parla di un teschio conficcato su un palo su una torre, usanza questa fatta risalire ai tempi del medio Evo allorquando le teste di famosi banditi e predatori, una volta assicurati alla giustizia, erano tranciate dal corpo e impalate in cima alle torri dei castelli mentre le altre parti del corpo venivano appese agli archi d’entrata ed uscita del paese per monito agli abitanti del luogo. Queste ipotesi non trovano conferme

Analizziamo il testo:

Vitti na crozza supra nu cannuni (cantuni) / fui curiusu e ci vosi spiari
idda m'arrispunniu cu gran duluri / murii senza un toccu di campani

Si nni eru, si nni eru li me anni / si nni eru, si nni eru un sacciu unni
ora ca sugnu vecchiu di ottant’anni / chiamu la morti i idda (nuddu) m’arrispunni (u vivu chiama u’ mortu e ‘un’ arrispunni.)


Cunzatimi, cunzatimi lu (me) lettu / ca di li vermi su (sugnu) manciatu tuttu
si nun lu (scuttu) scuntu cca lume peccatu / lu (scuttu) scuntu all’autra (chidda) vita a chiantu ruttu (o scilliaratu)

Strofe aggiunte
C'e' nu giardinu ammenzu di lu mari / tuttu ‘ntissutu di aranci e ciuri
tutti l'acceddi cci vannu a cantari / puru i sireni (pisci) ‘cci fannu all'amuri

 

Sentu (Senti) li trona di lu Mungipeddu, / chi ietta focu e lampi (vampi) i tutti i lati.
oh bedda Matri, Matri Addulurata / sarba (serba) la vita mia e di mia amata.

 

Separiamo il testo originale dalle strofe aggiunte per motivi folkloristici e commerciali.

Il primitivo testo parla di un colloquio tra un uomo anziano, riferisce di avere ott’anni, con un teschio, posato sopra su un cannuni o cantuni (in altre versioni).

Il teschio le narra di una morte violenta senza funerale religioso (senza toccu di campani), forse un morto per crollo in miniera per il quale il funerale religioso, non potendosi prelevare il cadavere, non veniva celebrato in chiesa.

E’ l’occasione per l’anziano di guardare indietro negli anni e fare un consuntivo della sua vita accorgendosi a malincuore che son passati i suoi anni e se ne sono andati via come in un attimo, senza sapere dove, ma anche da anziani si è attaccati alla vita, anzi di più sapendo che è fisiologica la dipartita, e si invoca la vita, ancora una lunga vita, ma le risponde la morte con il suo richiamo da un teschio.

L’anziano prega i parenti di preparargli il letto (in Sicilia come in tante altri parti si fa la veglia al defunto coricato su un letto che prende il posto centrale della stanza attorniato dai parenti) perché già si sente divorato dai vermi, con lo scopo già di cominciare a scontare su questa terra i peccati fatti per evitare di scontarli piangendo nell’aldilà. Ciò che dice l’anziano, per la verità, potrebbe essere anche detto dal teschio.

La canzone è veramente triste, ma da uno spaccato filosofico della vita, l’accettazione di averla vissuta e di trovarsi davanti al mistero della morte.

L’argomento trattato non è per niente allegro e mal si adatta, solo forzandolo, con quel gioioso trallalleru inserito nelle versioni più recenti di stampo folkloristico e commerciale così pure mal si adattano le altre strofe aggiunte in seguito in cui si privilegiano le bellezze della Sicilia, il suo splendido mare e il focoso Mungibeddu (Etna).

 

Da un’analisi esegetica del testo viene fuori in alcune versioni la parola cannuni ed in altre “cantuni”; l’interpretazione che molti danno, ed è anche dello studioso Franceco Giuffrida, è che il teschio su un cannuni stia ad indicare il teschio impalato in un legno e conficcato sulle mura di un castello, ancora oggi per cannuni in alcuni paesi si fa riferimento al castello, spesso posto nell’altura del paese per motivi di difesa ed anche per poter essere ben visto in tutto il paese, c’è da dire che alcuni affermano invece di un teschio su un cannone posto in cima al castello, o addirittura di un teschio disegnato su un cannone nelle trincee dell’ultima guerra; un’ultima interpretazione del “cannuni” è data da qualche minatore che lo indica come l’architrave o l’entrata della miniera che essendo un cunicolo è chiamata canna e cannuni l’entrata. C’è da ricordare l’usanza in tempi passati di esporre la testa mozzata di banditi o briganti (che con le intemperie diventava teschio) per diversi anni e questo per monito a tutti i paesani e che questa usanza ben si adatta al fatto che un teschio possa trovarsi sulla torre di un castello. Invece il “cantuni” sarebbe la cantoniera, parte di un palazzo ad angolo, dove sopra una pietra posta ad angolo fosse stata posto un teschio; in effetti l’esposizione di un teschio in un altarino (fiuredda) posto ad angolo di strada da qualche confraternita, che si richiamasse al ricordo della morte per monito ai vivi, non è da escludere.

La mia impressione è che la parola più convincente sia cannuni, intendendo il castello in senso lato, oppure il cannone del castello, arma nevralgica di dissuasione e di morte presente sulle torri dei castelli a difesa dello stesso castello.

Da notare le rime delle tre strofe che nella prima strofa è ABBA (1° cannuni / spiari - duluri / campani; mentre nella seconda e terza strofa è ABAB (2° anni / unni - ottant’anni / m’arrispunni,

3° lettu / tuttu - peccatu / ruttu (o scilliaratu)

Le rime diverse farebbero pensare a diversi autori o ad aggiunte alla primitiva strofa.

 

Dal punto di vista musicale esiste una versione primitiva in modalità minore, mentre quasi tutte le interpretazioni sono in modalità maggiore; a questo proposito bisogna ricordare come la modalità minore è la più consona se si considera il fatto che la modalità minore viene usata in canti tristi, dolorosi, mentre la modalità maggiore è più usata per canti allegri gioiosi, ora, considerato il tema molto triste del colloquio col teschio e con la morte, quindi un argomento triste, doloroso ben si addice la modalità minore e che, però, nel tempo, anche per motivo folkloristico ed interessi commerciali la modalità in maggiore anche con l’aggiunta del trallalleru ha prevalso sulla modalità minore, diventando così una canto da cantare in gita o con gli amici in momenti allegri e spensierati senza accorgersi per niente del tema triste e doloroso della canzone.

Il tempo della canzone iniziale era un 4/4 lento che nel tempo è diventato un 2/4 allegro, con il trallalleru.

 

A proposito del trallalleru, introdotto nelle versioni più recenti, non è presente in quella di Michelangelo Verso, la stessa Rosa Balistreri, la punta di diamante del canto siciliano, non volle mai cantare questa canzone, (solo qualche volta la cantò a casa di amici precisamente a casa di Felice Liotti ed in qualche concerto come a Calamonaci), usò la modalità maggiore, ma mai volle aggiungere il ritornello del trallalleru, ribadendo come il tema triste della canzone mal si adattava con questo farsesco trallalleru. Ecco le parole esatte di Feloce Liotti inviatemi in un suo ricordo: “… Poi , diventò seria, schiarì la voce e mi cantò alcune cose bellissime come la “Leggenda du friscalettu” Mafia e parrini, ma soprattutto Vitti na crozza”, quella canzone che mai aveva voluto eseguire; la considerava una puttana che andava spoglia dei suoi significati, vestita solo di un trallallero vergognoso. Volle dare dignità a una canzone che meritava un posto diverso”
In altro articolo Aldo Migliorisi ricorda quella serata: “… fino a quel Capodanno, uno dei suoi ultimi, trascorso a casa di Felice Liotti, uno dei pochi amici rimastole. Solo allora, dopo il pranzo -lei come al solito non aveva mangiato quasi niente e aveva fumato tanto-  prese la chitarra, chiese di mettere in funzione il registratore e cantò “Vitti na crozza”. Anzi: la rielaborò. Innanzi tutto tagliò quel ritornello da carrettino siciliano, il trallallero da cartolina. Poi rallentò il tempo e si lasciò andare ad un’interpretazione da brividi. Il respiro che spezzava il verso, le modulazioni quasi arabe del canto, la sua voce scura, profonda, antica, vibrante, ridavano finalmente dignità e significato a quella canzone, restituendola a se stessa. Domanda sul dolore e sulla vita cioè, e nessuna risposta: solo la consapevolezza della violenza dell’inferno sulla terra.”Vitti ‘na crozza” ritornava così di nuovo un canto di dolore, di sconfitta per la morte che si avvicina.
Quel Capodanno Rosa sembrava avesse incontrato per la prima volta quella canzone e da come la cantava, sembrava che quelle parole disperate le risuonassero dentro quasi come un presagio”.

In conclusione è verosimile, a mio parere, che la parte testuale della canzone appartenga a vecchie canzoni popolari e quindi di autore sconosciuto, (anche se non si trova traccia nei libri di raccolte di canzoni siciliane), e pertanto non si può effettuare una datazione certa, mentre la partitura è molto probabile sia del maestro Li Causi, non potendo però escludersi che il maestro li Causi a partire dalla canzone ascoltata dai minatori e quindi con linea armonica preesistente abbia messo in partitura la canzone mettendogli anche qualcosa di suo sia nel movimento armonico che nell’arrangiamento, convincendosi che per il lavoro effettuato di assembramento, arrangiamento e armonizzazione, era suo diritto iscrivere la canzone alla SIAE a suo nome.
”Vitti na crozza” rimane comunque una canzone che rispecchia l’animo siciliano, che guarda al passato, alla sua storia, alle tradizioni, all’animo spesso malinconico dei siciliani sfruttati, privati della libertà e oppressi e dominati da vari popoli ma sempre pronti a prendere il meglio dei dominatori, anzi a unire la propria cultura con quella dei dominatori arricchendo così la cultura siciliana e proiettandola così alla modernità e al futuro.

 

 

 

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VITTI NA CROZZA
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Pubblichiamo un articolo di Francesco Giuffrida, citato nell'articolo di Nicolò La Perna, riguardo alla canzone Vitti 'na Crozza

Caro La Perna,
                     ho letto il tuo articolo su Vitti 'na crozza pubblicato sul Foglio volante; vedo che a un certo punto mi citi, ma quello che mi fai dire non corrisponde a quello che io ho scritto (La rivista del Galilei, n.15, maggio 2009). Penso di averti dato quel numero della rivista, ma è passato del tempo e non posso esserne sicuro. O forse l'hai letta allora e - smarritala - non ricordi esattamente quello che scrivevo.
A ogni buon conto ti allego l'articolo di allora, senza le illustrazioni che penso siano abbastanza inutili, con la preghiera di provvedere alle correzioni del caso.
Grazie e buon lavoro

 

 

 

VITTI ’NA CROZZA: STORIA DI UNA CANZONE

 

 

 

A Favara, in provincia di Agrigento, nel 1950  cominciarono le riprese del film “Il cammino della speranza” del regista Pietro Germi. Per chi non ricorda o non ha mai visto il film - e a tanti farebbe un gran bene vederlo, visto che parla dei nostri nonni, poveri e disperati emigranti in cerca di lavoro fuori dal proprio Paese - diciamo subito che la nostra canzone ne “ Il cammino della speranza” è indiscussa protagonista sonora. E diciamo anche che senza questo film ’ Vitti ’na crozza’ forse non sarebbe mai nata. Ma andiamo con ordine: è appunto il 1950 quando Pietro Germi, già conosciuto e apprezzato regista, viene in Sicilia per iniziare le riprese del suo film, inizialmente intitolato ’Terroni’. Ad Agrigento gli viene presentato il Maestro Franco Li Causi, chitarrista, compositore, nonché Direttore di una sua orchestra, a cui chiede (e usiamo le parole del Maestro tratte dalla lunga intervista concessa al giornalista Gabriello Montemagno)1 “ un motivo allegro-tragico-sentimentale “ da inserire nel film. Nessuna delle tante composizioni del Maestro soddisfa il regista, che però invita il Li Causi ad assistere alle riprese nella vicina Favara. E proprio sul set comincia la nostra storia: il 16 marzo del 1950, il minatore Giuseppe Cibardo Bisaccia (che avrà poi una particina nel film) recita a Germi una poesia popolare che ricorda a memoria; questi sono i versi recitati quel giorno:

 

 

 

Vitti ’na crozza supra nu cannuni

 

fui curiusu e ci vosi spiari

 

idda m’arrispunniu cu gran duluri

 

muriri senza toccu di campani

 

 

 

Si ’nni eru si ’nni eru li me anni

 

si ’nni eru si ’nni eru e nun sacciu unni

 

ora ca su arrivati a ottant’anni

 

u vivu chiama e u mortu unn’arrispunni

 

 

 

Cunzatimi cunzatimi stu lettu

 

ca di li vermi su manciatu tuttu

 

si nun lu scuttu cca lu me piccatu

 

lu scuttu a chidda vita a sangu ruttu

 

 

 

(Vidi un teschio sopra un cannone/fui curioso e gli volli chiedere/esso mi rispose con gran dolore/morire senza tocco di campane  Se ne sono andati i miei anni/se ne sono andati non so dove/ora che sono arrivati a ottant’anni/il vivo chiama e il morto non risponde  Preparatemi il letto/perché dai vermi sono tutto divorato/se non lo espio qua il mio peccato/ lo espierò in quella vita col mio sangue)

 

 

 

Germi resta affascinato dai versi e chiede a Li Causi se può musicarli; Li Causi si apparta sotto un albero, un piede appoggiato a un muretto per sostenere la sua chitarra, e compone la musica che tutti conosciamo. E subito capisce che ha creato una melodia orecchiabile, di impatto positivo e immediato, piacevole e cantabile. Il giorno stesso spedisce alla Società che tutela il diritto d’autore, la SIAE, il deposito della sua composizione. In futuro, come vedremo, questo atto burocratico sarà di vitale importanza.

 

   La nuova  ’antica’ canzone si diffonde subito: testimonia Alfieri Canavero –  allora giovane operatore cinematografico – durante una chiacchierata al telefono che, sempre nel corso delle riprese, scesero un giorno in miniera dove, immersi in un caldo insopportabile, praticamente senza vestiti addosso, i minatori stavano cantando ’Vitti ‘na crozza’ , accompagnandosi col ritmo … della pompa dell’aria. E lì il Canavero realizzò la prima registrazione della canzone, con un piccolo registratore a cavo che aveva con sé. Registrazione poi malauguratamente andata perduta.

 

La canzone entra di diritto nella colonna sonora del film così da essere conosciuta in breve tempo in tutta Italia. Verrà conosciuta la canzone, non l’autore della musica, non citato né sulla locandina del film, né nei titoli di testa o di coda: autore delle musiche, di tutte le musiche, risulta Carlo Rustichelli, famoso autore di colonne sonore. Fu per rispetto nei suoi confronti che regista e produzione evitarono di citare il Li Causi come autore? O c’era in atto un tentativo di appropriarsi di un probabile successo discografico? Oggi non possiamo rispondere a questa domanda; è certo che il successo ci fu e varcò i confini della Sicilia e dell’Italia. Non solo per merito del film, ma anche perché nel 1951 il Maestro Li Causi fa incidere ’Vitti ’na crozza’ al tenore Michelangelo Verso in un disco della CETRA e l’etichetta, dopo il titolo, recita ‘trascr. F.Li Causi’. Il disco avrà un grande successo e farà conoscere in America questo pezzetto sonoro di Sicilia. Il motivo per cui l’autore risulta semplicemente ’trascrittore’ è presto detto: all’epoca la SIAE non prevedeva la possibilità  che un testo antico di anonimo potesse essere musicato successivamente e avere così un autore della melodia.

 

Ma è uno dei pochi casi in cui il nome di Li Causi figura; in tanti, successivamente, incideranno la canzone, senza mai citare l’autore della musica. La canzone, anzi, passa per ’tradizionale’ e va acquistando un passato, una storia che in verità non ha mai avuto e non poteva avere. A titolo d’esempio vogliamo citare una pubblicazione dei primi anni ’60: “ Un secolo di canzoni”2. È una raccolta di ’fogli volanti’, di quei fogli a stampa, cioè, venduti dai cantastorie quando ancora non c’erano o non avevano larga diffusione i dischi: ne riporta ben 377, copie perfette degli originali, recuperati in tutte le regioni d’ Italia; e a pagina 378, a chiusura del volume si può leggere:

 

 

 

1914. Scoppia la << grande guerra >>. Altre canzoni, altri fogli volanti.

 

Qui termina la nostra raccolta perché riteniamo non solo che abbia inizio un nuovo ciclo della storia, ma anche un nuovo gusto per la poesia popolare e per la sua musica.

 

<< Vittì >> (sic!) è un vecchio canto di guerra siciliano: lo cantarono gli insorti di Garibaldi nella spedizione dei Mille, lo cantarono i fanti siciliani, sul Carso, sul Pasubio, sul Piave; è bello nel suo tragico linguaggio come nel ritmo della musica e può chiudere degnamente la lunga catena qui presentata.      

 

 

 

E a pagina 379 viene pubblicata ’Vitti ‘na crozza’ – ovviamente non il suo foglio volante, che non può esistere – un po’ storpiata nel testo e nel dialetto, ma indiscutibilmente lei. Nel disco allegato un famoso cantante – Domenico Modugno – canta per la prima volta ’Vitti ‘na crozza’, canto tradizionale siciliano! E’ ovvio che pubblicazioni di questo genere o meglio invenzioni di questo genere non fanno altro che alimentare gli equivoci: basta pensare che anche Andrea Camilleri è stato tratto in inganno dalla presunta ’anzianità’ della composizione, e la fa figurare nel repertorio dei due suonatori che nel romanzo “Il casellante” (ambientato nei primissimi anni ’40) allietano i clienti del barbiere del loro paese.

 

Ma in verità prima del film e del disco CETRA nessuno aveva mai sentito questa canzone; e purtroppo le raccolte di canti popolari siciliani – dove sono riportati circa 20.000 canti – sono appunto raccolte di canti, non di poesie. L’unica vaga rassomiglianza con la nostra canzone la troviamo nel ’Corpus di musiche popolari siciliane’ di Alberto Favara: dal numero 175 al 178 sono trascritte quattro varianti di un canto dove il protagonista sogna una crozza e con essa si mette a parlare; ma la somiglianza finisce qui. Tra l’altro la raccolta del Favara – compilata a cavallo tra Ottocento e Novecento – viene pubblicata solamente nel 1957.

 

Ma altre questioni ha fatto sorgere la nostra canzone: cosa vuol dire esattamente? Di cosa parla? A chi vanno attribuite correttamente le varie parti del dialogo? Sempre che di dialogo si tratti! Ogni versione in prosa proposta finora ha sempre lasciato gli stessi interrogativi iniziali. È corretto allora avanzare qualche ipotesi: e tra le più fondate c’è quella che possiamo chiamare ’dei pezzi mancanti’. In ogni trasmissione orale, affidata cioè alla memoria di chi trasmette l’informazione, occorre fare i conti con la possibilità che l’informatore non ricordi esattamente quello che, a sua volta, ha ascoltato e di cui vuole riferire; abbiamo allora delle lacune, ma anche delle aggiunte del tutto originali o estrapolate da altra fonte. Se pensiamo poi che la canzuni  siciliana – e per canzuni si deve intendere un componimento non necessariamente con musica – è formata da otto endecasillabi a rima alternata, Vitti ‘na crozza potrebbe essere una ballata formata da tre o più canzuni  di cui si sono perse varie componenti.

 

Ma forse si deve proprio a questa possibilità di interpretazioni varie, a questo mistero, a questa serie di allusioni proprie di ’Vitti ‘na crozza’ se il canto ha subito affascinato. Riporto qui qualche possibilità di interpretazione, che chi naviga in internet già conosce: il cannuni  non è un cannone, ma una torre a cui venivano appese le gabbie coi condannati, fino alla loro riduzione in ossa consunte dalle intemperie e dal sole, perchè servissero da monito ed esempio.  Ma in nessun dialetto della nostra Isola cannuni ha il significato di torre, torrione o simili; certo, possiamo trovare - per esempio a Mazzarino – l’uso di chiamare la torre del castello ’u cannuni (il cannone); ma è quella torre a essere ‘u cannuni , non tutte le torri e, in ogni caso,  la ’crozza’ sarebbe ’mpisa e non supra.

 

 Il cannuni non è cannuni, bensì cantuni, che, nelle pirrere del trapanese – cioè nelle miniere, nelle cave – è un concio di tufo, di arenaria, e anche il luogo di lavoro dei minatori; ricordiamo qui che il Cibardo Bisaccia era proprio minatore, ma dell’agrigentino. È possibile che, imparata la poesia nella provincia di Trapani o da qualcuno proveniente dal trapanese, abbia poi sostituito, in maniera del tutto automatica, il termine per lui senza significato con un termine più familiare. Ipotesi affascinante – sposta l’attenzione dalla guerra a un disastro in miniera, frequente fino a qualche decennio fa in Sicilia – ma, proprio per l’assenza di raccolte di componimenti poetici, ormai difficilmente verificabile.

 

In ogni caso, sia che la poesia alluda a fatti di guerra o a disastri minerari o a condannati a morte, stona parecchio quell’assurdo ritornello, il famigerato tirollalleru  che nei primi anni ’60 qualcuno infilò tra una strofa e l’altra, consegnando il canto al filone più ’turistico’ del folklore siciliano Ritornello che male si accorda con l’impianto generale del canto, e che induce ad un accompagnamento che si discosta nettamente dalle prime esecuzioni, quelle per intenderci presenti nel film o registrate dal tenore Michelangelo Verso, più vicine agli intendimenti del Maestro Li Causi. Il quale – e qui chiudiamo – dovette fare causa alla SIAE per avere riconosciuta la paternità della musica; paternità che infine, grazie a decine di testimonianze (tra cui proprio quella di Cibardo Bisaccia) e a quel deposito alla SIAE del 1950, gli venne riconosciuta ’a norma di legge’ nel  luglio del 1979. Ma, dopo neanche un anno, il Maestro Franco Li Causi moriva.

 

 

 

 

 

 

 

Note

 

1)    L’Ora del 2 febbraio 1978

 

2)    a cura di F.Rocchi, Roma, Parenti 1961