INTERVISTA A ORLANDO RUSCONI CLASSE 1925  IMBONITORE

 

A tutte le latitudini, fin dai tempi più remoti, fiere e   mercati sono per definizione  luoghi di vendita dei vari generi merceologici e soprattutto momenti importanti di aggregazione  e  socializzazione.

Sia nella società contadina che in quella industriale il mercato è un forte momento  catalizzatore per uomini e donne alla ricerca dell’affare, del particolare oggetto o, semplicemente ritrovo per  coloro che vogliono  acquistare, osservare, confrontare i prodotti .

Mercato  è  anche “teatro di strada” e sul suo palcoscenico,  la piazza, si muovono e agiscono molti personaggi  in quella  che potremmo definire la grande rappresentazione dell’esistenza umana.

Dal medioevo mercanti,  strilloni, imbonitori, battitori, ciurmatori   ci hanno tramandato l’arte istrionica della vendita all'incanto.

Per istrionismo o arte di piazza si intendono tutte quelle forme di pubblicità diretta e di comunicazione,  con cui si induce la gente a compiere una determinata azione o  un acquisto.

Energia latente,  convinzione, fluido, furberia, malizia, oltre che dialettica e forza sono  termini che solo se  uniti insieme possono definire la parola imbonimento.  Ancora oggi piazzisti, comunicatori,  attori e soprattutto politici  fanno largo uso di queste tecniche  di persuasione. Con la crisi delle idealità voti e consensi,  sono divenuti  preziose merci di scambio e di conseguenza, queste tecniche persuasive hanno acquistato grande rilevanza ed attualità.

L’intervista  a questo noto imbonitore della piazza milanese, già documentato da Riccardo Grazioli nel libro della Regione Lombardia “Milano e il suo territorio”,(Silvana Editoriale  1983), evidenzia gli aspetti  comunicativi  e  persuasivi dell’arte di

“vendere parole” oltre a far emergere anche l’elemento  ambientale del mercato con i suoi protagonisti e i personaggi più caratteristici.

Orlando Rusconi,  ora in pensione,  ha esercitato la professione di battitore nelle fiere e nei mercati del nord e del centro Italia  per circa cinquantanni. Rappresenta  una particolare categoria di venditori  diffusa fino a qualche anno fa che operava nei mercati  vendendo vari prodotti mediante una “dimostrazione” preliminare, che rende  più appetibile la merce agli occhi del  compratore.

Ma l'imbonimento può  anche essere visto come un sorta di “piece teatrale” o  paragonabile al  motivo  musicale che scaturisce dall'oboe dell’incantatore di serpenti  e al fluido magnetico dell’ipnotizzatore è comunque un "pezzo di bravura" che ogni singolo imbonitore recita per indurre all'acquisto i suoi uditori.

Oggi questa professione si è modificata notevolmente e, al posto della piazza del mercato si è  scelta quella virtuale della televisione e della rete internet.

Come vedremo nell'intervista, anche se con notevoli modificazioni, i meccanismi e  le tecniche sono rimasti  simili a quelli del passato.  Orlando Rusconi ci ha svelato alcuni suoi “segreti”, abili trucchi con cui riusciva a creare intorno al suo banco, quello che definisce un “bel treppo” cioè un gran numero di persone assiepate e intente  ad ascoltarlo e, soprattutto,  propense all’acquisto. Un percorso raccontato con la brillante capacità di un consumato attore che ha esordito  nell'ambiente del commercio al dettaglio nelle fiere e nei mercati dell’immediato dopoguerra. Nel racconto vengono  evidenziate  le  forti trasformazioni che la tecnologia ha apportato  fino all'attualità della  vendita televisiva o televendita.

Il mercato è qui descritto come un  microcosmo che molti di noi, non più giovanissimi,  ricordano ancora, dove si potevano incontrare personaggi tipici e fantasiosi, macchiette, trafficanti, gente che per vivere si ingegnava a escogitare  trucchi, arguzie e inventava novità,  affinando l’antica arte di arrangiarsi,   finalizzata ad alimentare quella che Orlando   definisce la  “ fabbrica dell’appetito”.

Autentica lezione di “teatro di strada” e  scorcio di vita cittadina che a nostro avviso ricompone quell’insieme, ancora poco indagato, di microstoria recente che  vale la pena di rileggere e confrontare con le roboanti proposte odierne, non per alimentare  nostalgiche visioni, ma per scoprire gli attuali  disincanti o semplicemente  per immaginare momenti di spettacolo con  suoi maestri col suo  gergo e la gestualità .

 

SIG. ORLANDO COME HA INIZIATO A LAVORARE NEI MERCATI E  QUALI SONO STATI I SUOI MAESTRI?

 

Ho iniziato subito dopo la guerra,  le paghe erano molto basse in quel periodo , gli operai guadagnavano poco poi io non ero un operaio finito, quindi la mia era bassissima, insomma un po’ per questo, un po’ per pigrizia, non andavo “a bottega”.  Una sera ero a casa di un mio amico, Piero Cremona, con tanti altri amici, Piero dice a suo padre  “Adesso l’Orlando ti fa l’imitazione!” “Dai vai, ma no, ma si! Io ero un po’ timido …e allora gli ho fatto l’imitazione,L’imitazione consisteva nel copiare l’imbonimento che faceva in piazza per vendere i suoi prodotti, ed è riuscita così bene che mi ha detto “Ti te podariet fa el mè mestèe!” (trad. Tu potresti fare il mio mestiere).

Allora  iniziai  il lavoro di battitore che fu determinato da quella  imitazione!. Favorito Cremona, così si chiamava, fu quindi il mio maestro colui che mi spinse a fare questo mestiere e pare che calzi su misura.

Favorito Cremona faceva  parte di una “elite” di venditori che a quei tempi là, parliamo  del ’45- ’50  era una minoranza. Cioè se sul mercato c’erano 100 venditori, di battitori ce n’era uno solo. In quel periodo, la gente non aveva molti soldi e questa era una ragione per la quale il venditore  vendeva “fumo”. Perché erano tutti articoli che erano dei trucchi, per citarne uno: “Il Cromital” che appunto doveva cromare tutti gli oggetti di ottone. Oppure la radice per rendere bianchi  i denti, la “galanga” che era un classico dei   venditori che venivano dalle ex colonie, gli eritrei e somali : avevano questo viso scuro e quindi la dentatura  bianca spiccava maggiormente. Anche loro facevano degli imbonimenti eccezionali.

Si vendevano prevalentemente trucchi. Ricordo alcuni che vendevano il callifugo e per dimostrarne la bontà per strada dicevano al cliente: “ Ha un callo, ha un durone, ha un occhio di pernice, non si preoccupi ,si tolga la scarpa!” Prendevano il loro specifico, lo mettevano sulla parte callosa poi con una penna d’oca che veniva affilata con un coltello gli toglievano il callo. Questi andavano a presentare il loro prodotto con una collezione di calli e di duroni che veniva esposta sul tavolo a dimostrare che effettivamente molti si erano prestati con successo alla loro vendita.  

Arrivati agli anni ’50 /’55  si è  cominciato a vedere sul mercato venditori che non avevano più  bisogno di ricorrere a questi articoli e perciò la proposta veniva effettuata con della merce. In genere sempre il campo dei casalinghi  è stato molto ricco di novità. Pian piano il mercato è cambiato  e sono comparse le prime  novità,  certi utensili e,  di conseguenza c’è stata la trasformazione   anche nel mestiere di battitore diventato  a tutti gli effetti “dimostratore”.

Si commerciavano piccole affettatrici, ricordo che avevano  lanciato un tipo di “affetta-verdure” multiuso, non solo le affettava, ma le tagliava a bastoncino, tritava le verdure stesse e sono  cominciate le prime griglie, le prime padelle,  il torchietto che era un attrezzo dotato di una manovella elicoidale e aveva dischi che si mettevano alle estremità e quindi si poteva tritare tutta la verdura.

C’erano poi venditori con il “campionario” che comprendeva la bigiotteria: anelli, spille bracciali, parure, penne, matite, stilografiche e orologi  e questo era un genere che per un venditore  era il massimo.

VUOLE DESCRIVERCI COME ERA IL MECCANISMO DELLA VENDITA?

Si, questi venditori avevano una tecnica  particolare ricchissima di “portate”, che nel gergo sono gli argomenti finalizzati alla vendita.

Lo “spillo”, invece, s' intende la presentazione del banco, cioè una esposizione fatta molto bene,con un effetto che ti punge,  ti arriva addosso con uno stimolo  di grande peso.

Un grande imbonitore  e cantastorie di Pavia nelle  “portate” faceva appello  al fatto che gli oggetti che proponeva erano costruiti dai bambini, da orfani, andava  a  toccare corde estreme. Si chiamava Adriano Callegari  e faceva i suoi “treppi” anche a Milano, diceva “ Avete sentito di quel bambino semi paralizzato…. Però con le sue manine ha fatto questo….ecc.. ecc.., tutti argomenti che toccavano il cuore della gente.

Quelle erano  “portate” pesantissime, ma siccome a lui facevano gioco  appunto in un contesto come quello, di grande treppo, di grande concentrazione di gente, di calca, bisognava giocare sui sentimenti forti. Siamo nel campo  dei venditori di “fumo”, ma proprio per questo dovevano essere maggiormente  bravi nell'imbonimento! Perché altrimenti non riuscivano a guadagnare.

Un’altro di questi personaggi è stato il famoso Favorito Cremona, il mio maestro!. Cremona ha avuto anche un figlio d’arte, Piero, adesso ha addirittura un nipote, Raul, che calca le scene dei teatri, va in televisione e quasi come se avesse preso lo spunto  dal  nonno,  fa giochi di prestigio.

Il mio maestro Favorito Cremona  si era inventato il “Sivedebene”.  Allora  veniva prodotto in casa, proprio nella sua abitazione, dalla moglie e dalle vicine, ma veniva presentato come fabbricato dalla INAO Industria Nazionale Artigiana Ottica . Le dimensioni di questo oggetto erano di dieci, dodici centimetri e quando si riduceva diventava la metà, circa 6 cm. Era un oggetto tascabile ,  fai conto di vedere un monocolo con un piccolo carrello che scorre, sul quale ci sono due lenti che erano snodabili e indipendenti, se ne poteva adoperare una come lente d’ingrandimento e, se si mettevano in asse tutte e due,  diventava un cannocchiale. C’era una lente piano convessa e una lente biconcava e queste, messe insieme formavano il cannocchiale, se non nella forma, nella sostanza perché le componenti erano quelle. Oltre a fungere da lenti d’ingrandimento nelle sue  mani diventava …posto su delle fotografie, scelte appositamente, molto contrastate, diventava uno “Stereoscopio”, cioè si vedeva l’immagine in rilievo. Una cartolina che raffigurava  un paesaggio e dava l’impressione che le montagne fossero addirittura in rilievo.                                                                IMBONIMENTO DEL "SIVEDEBENE"  

Quando il Cremona era in forma riusciva a presentarlo  in un modo che mi faceva sbalordire! Poneva questo oggetto su un bastoncino e, durante l’imbonimento in piazza  diceva alla gente: “Bene! Vi capiterà di andare a vedere una corsa all’ippodromo o di vedere una manifestazione sportiva, c’è un sacco di gente davanti a voi e  non riuscite a vedere assolutamente niente?…Avete risolto il problema! Mettete il nostro “Sivedebene” su questa cannuccia, lo legate con un elastico, ponete le lenti in questo modo, gli elementi di sbieco, lo alzate con uno specchio sotto e voi vedrete tutto quello che avviene dall'altra parte e avete fatto, quasi senza volerlo, Il periscopio!”.

Ecco questo serve appunto a dire come la fantasia di un venditore e l’entusiasmo sono la componenti essenziali.  Poi  concludendo  la posta del “siloscopio” o sivedebene, poneva le lenti in asse presentandolo come  un cannocchiale e  quando eravamo  ai piedi del Duomo, nei pressi dell’Arcivescovato lo alzava , lo metteva a punto , a fuoco inquadrando le guglie del duomo, lo puntava sulla Madonnina  e diceva: “Eccola sembra qui! A portata di mano, vista attraverso il nostro “Sivedebene” Poi mostrava a una persona che ormai suggestionata da tutta la presentazione gli diceva “Sivedebene?”  e la risposta non poteva che essere “Sìììììì!” E così il maestro concludeva  la sua dimostrazione e vendeva tantissimo.

Allora c’era una scuola che insegnava il mestiere che  era quella di affiancarsi a un maestro, al battitore, rubare il mestiere.

Un altro bravo era il  Notari  lavorava anche di sfroso, era uno sfrosatore, non aveva i posti per vendere e quindi i vicoli stretti gli facevano gioco …La gente passava e veniva attratta dalla sua loquacità più che dagli articoli che vendeva  che erano dei pupazzi che ballavano a ritmo della sua armonica a bocca.

Altro elemento importante era che il battitore usava  il linguaggio della piazza,uno slang derivato dal gergo della malavita. Tra di loro c’era anche qualcuno che veniva fuori dalle patrie galere, dalla boiosa, dalla prigione e quando usciva non aveva neanche una lira poveraccio, allora gli davano una licenza, così  si metteva a vendere.  Notari, non aveva  risvolti di questo tipo, ma la sua dote migliore era quella di essere sfacciato.

Quando poi uno è padrone  del mestiere tira le fila e pian piano arriva alla conclusione: vende. Nessuno di questi  venditori, che partivano dal loro paese, dalla loro città e andavano a recarsi sul mercato raramente andavano a casa  a mani vuote, quasi mai, perché appunto, è proprio il caso di dire che conoscevano perfettamente l’arte del vendere. La vendita del battitore è una vendita particolarmente studiata e generalmente  centravano sempre il bersaglio.

Una cosa importante da dire  per quanto riguarda la contiguità con la malavita  è che il venditore si riteneva  “un dritto” rispetto al compratore, proprio per questo chiamato  “gaggio” cioè, già la parola lo dice,  uno che puoi imbonirlo facilmente, puoi portarlo in giro come vuoi.  Invece il venditore  era consapevole di possedere la forza dell’incantatore,(*) forza posseduta ad esempio  dai politici, chiacchieroni anche loro, che attraggono la gente con l’arte oratoria. Quindi il battitore aveva appunto  questa forza giocata sulle parole.

Uno dei metodi è quello di non smettere mai di parlare in modo che l’altro non abbia il tempo di riflettere.  

La dimostrazione più lenta è la prima in quanto non c’è nessuna persona già  ferma ad ascoltare. Non essendoci neanche una persona bisogna impiegare un certo tempo per avvicinare il gruppo di gente che può arrivare anche a 20, 30 persone. Quando naturalmente uno conclude vendendo, sfrutta questo effetto, cioè il fatto che ci sono degli acquirenti, su quelli  che sono arrivati dopo e che non hanno visto tutta la presentazione. Nella successiva presentazione “riprende” il discorso, fa un’altra presentazione e,  in un tempo più breve riesce a fare un’altra posta o dimostrazione. Non deve mai mollare perché si crea una pausa, che a volte è molto lunga e si deve ricominciare tutto da capo e questa è una cosa negativa.

COME SI FA A NON PERDERE MAI L’ATTENZIONE DEL PUBBLICO?

Oltre al tono della voce che è molto importante, uno dei sistemi è  avere il “saraffo” , il “compare”. Si usava un tempo, era una persona d’accordo con il venditore che stava davanti, incollata al banco e quindi la gente si avvicinava più facilmente, perché c’era già un’altra persona che era ferma davanti pronta a comprare. Ci sono dei particolari importanti che vanno tenuti presenti nella dimostrazione che si fa, non è che la gente si avvicina con estrema facilità, no, assolutamente! C’è quello che è diffidente, che sta a due passi di distanza, c’è quell’altro che sta a due metri, allora per vincere quella timidezza  ci sono diversi modi,quello che veniva adoperato da molti venditori per fare meno fatica era il saraffo che agevolava la vendita e permetteva di vincere l’ indecisione iniziale da parte del pubblico. Ma  il saraffo, serviva anche quando il venditore concludeva la presentazione. Quando il pubblico è distratto vuol dire che qualcosa non va, c’è un elemento negativo e allora accorgendosi di questo, nel momento della conclusione, se magari c’è tra i presenti una sola persona positiva, nel senso che si lascia convincere e vorrebbe comprare,  non si decide  perché non si muove nessuno,  per cercare di rompere questo attimo,  il saraffo  compera, fa il trascinatore e dice “Me ne dia uno!” in modo plateale, e allora quel tale che appunto era incerto, sfugge all'incertezza e dice “Anche a me”!. Così il venditore ha motivo per continuare nella sua presentazione.

Riassumendo, c’è una fase introduttiva, un’altra  in cui il venditore descrive il prodotto, fa la dimostrazione e decanta tutte le qualità del prodotto fino a renderlo indispensabile e insostituibile, più questa fase dimostrativa è allettante più la successiva fase conclusiva sarà buona. La famosa “rottura” che può essere buona o “andare a vuoto”, quando cioè il pubblico non risponde alle sollecitazioni dell’imbonitore.

ALTRI PERSONAGGI DELLA PIAZZA NEL PERIODO DEL DOPOGUERRA

Il Vasco era un grande venditore che navigava intorno agli anni ’50, lui aveva una speciale tecnica per “fare treppo” per attirare il pubblico, preparava  il banco in modo speciale. La tela che lui vendeva veniva ricoperta con dei tappeti bellissimi, sopra i tappeti metteva grosse banconote verdi e rosa da 5 e 10 mila lire che erano piuttosto grosse, come dei fazzoletti, faceva questa operazione molto lentamente, arrotolandole in modo da formare delle rose fermate con collane di perle o altri monili. Finché la gente si domandava:” Ma cosa fa questo qui , da via i soldi?”  Era questo il pretesto che lui usava per attirare l’attenzione della gente. Poi iniziava la presentazione di cui era maestro e che poteva  durare anche 30 minuti. Ricordo che lo chiamavano anche il maestro della tela o anche il “Barattino”.

Il temine deriva proprio dal concetto di “scambio”, cioè lui ti faceva vedere una tela per confezionare  lenzuoli molto lunga, ti faceva credere che con quella tela potevi confezionare quattro lenzuoli matrimoniali, senza mai parlare di misure, così a occhio. Poi la prendeva in mano e la metteva sull'avambraccio e ne aggiungeva una seconda, una terza fino ad arrivare a dieci. Quella che ha fatto vedere finisce sotto e le altre, più corte da smerciare, finiscono sopra.  Nella successiva posta faceva credere che il lenzuolo era ancora più lungo del precedente, ma che comunque anche quegli altri avevano fatto un buon affare! E così via Era proprio un genio!

Si avvaleva anche della collaborazione della moglie, una bellissima donna, vestita in modo appariscente e oltre al banco esibiva una macchina sportiva che attirava molto i curiosi.

Altri venditori per avvicinare la gente adoperavano altre tecniche. Ce n’era uno di Bologna, faceva tutti i mercati  d’Italia, vendeva lamette, girava con una borsa e una valigetta per i suoi effetti personali. Qui a Milano si metteva all’Arengario, vicino al Duomo, me lo ricordo negli anni tra il 50 e il ’60. Quando arrivava andava in un bar e si faceva prestare una sedia, lì sul marciapiede dov’era metteva in fianco un pezzo di giornale, dopodichè cominciava a dire: Vai, salta, salta, uno, due via! Salta vai, vieni, torna indietro tu no! Tu si!”  Giovanna, non ti muovere !E così via,  rivolgendosi al pubblico: "Scusate sono delle pulci ammaestrate!"  In questo modo attirava la gente, era il famoso pretesto per avvicinare la gente. Ricordo che faceva un pienone anche di 100/150 persone. Poi iniziava a presentare il suo prodotto la  “Lama Italia”. Lui si chiamava Somma e per dimostrare la validità del prodotto, delle sue famose lamette cercava tra il pubblico uno che aveva la barba lunga, lo chiamava al centro del crocchio lo metteva a sede gli dava del tu, per rendere il rapporto più cordiale. “Come ti chiami? “Luigi, bene Luigi, non sentirai assolutamente niente. Aveva uno sguardo quasi ipnotico, formidabile e riusciva a fare la barba a secco, senza sapone. Ma il bello è che gliene faceva solo metà. L’altra parte del volto gliela faceva  nella successiva dimostrazione. Poi gli diceva “Allora Luigi come vuoi che ti faccia i baffi? Alla Clark Gable o alla Lyonel Barrimor, che erano due attori famosi," No! te li faccio alla Hitler! E così dopo aver dimostrato che la lama radeva perfettamente anche senza sapone, andava alla conclusione diceva finalmente il prezzo di queste lame veramente straordinarie e meravigliose e liberava il malcapitato!

GERGO DELLA PIAZZA GIOCO DELLE TRE CARTE  

Questo esce un po’ dal mio mondo, non possiamo dire neanche che siamo parenti, perché io l’ho sempre un po’ disprezzato . Io ho sempre fatto una selezione dei prodotti (....), sceglievo il più positivo. Io sostenevo che chi di trucco vive di trucco muore. E guarda caso ne ho vista tanta di gente che ha lavorato di trucco ma si è trovata sempre ecco per usare un termine gergale “a Terracina dura” , Terracina  vuol dire che proprio non ha manco una lira: “Bianco” : “Sono andato su quella piazza lì e l’ho fatta bianca di peso” : non sono riuscito a vendere niente. “Perche non vai .. non so a Varese: “Ma cosa vuoi che vada che sono bianco come un lenzuolo! Cioè la gente mi conosce! Perché non vivi di clientela ….hai capito!

Le parole importanti  io non è che  le conosco tutte perché è un bel vocabolarietto ma  soprattutto è diverso a secondo dei vari dialetti. Ad esempio la cravatta si definisce sfoglia . La “Lima” è invece la camicia, la “berta è la tasca. Cosa te gh’et in berta?…. Te s’et a Terracina? Cià andem a ciarì : chiarire vuol dire bere . No sono a Terracina. Ma vieni non fare il “gagio” Gagio è tra il pubblico il meno sveglio degli altri. Cià andiamo in quela “piola” lì a smorfire, mangiare.

Piola è un’osteria. Andiamo lì che si smorfisce veramente del togo: si mangia bene. Oppure “La Mecca” è la donna. Un termine di mestiere era “I suoi visi” è generico cioè il saraffo davanti o il sotto attraverso lo sguardo capisce cosa vuoi fare. Per esempio se dico smiccia i sorrisi e con gli occhi vai di lì, lui capisce che alla sua destra c’è qualcosa che non va. “Smiccia i sorrisi, loffio! Per dire c’è uno che è balordo dagli un’occhiata  perché se no questo qui ci rovina tutto!

Nel caso degli spillatori di brutto, perché c’è lo spillo di bello e lo spillo di brutto, sono due cose distinte. Lo spillo di bello lo fa l’imbonitore,fa tutto da solo, ed è di bello. Lo spillo di brutto invece è una paranza che lavora, una squadra di dieci componenti. Tu ne vedi uno solo, quello che fa il gioco, ma vanno da sei, sette a dieci. Perché lo spillo è molto rapido. Allora davanti ci sono quattro elementi loro, più quello che fa il gioco che fa  cinque. La tavola è molto piccola o su un  cavalletto dove c’è una tavoletta che è larga 50 centimetri per trenta, facile da ripiegare. Non c’è bisogno di una spazio maggiore, è sufficiente .

Quando lavorano nelle metropolitane, ad ogni ingresso c’è una “marmotta”, cioè c’è uno di loro che guarda sulla scala se viene giù la polizia, loro la conoscono la polizia, anche se è in borghese, e se arriva danno il segnale.Come danno il segnale, gli altri chiudono, basta, spariscono tutti, quello che gioca rifila tavoletta e cavalletto ad un compare che si allontana, la va a nascondere e ritorna tutto normale. Le gente che c’è lì non si accorge del segnale .Quindi si fa presto ad arrivare a otto, dieci persone.

E’ un gioco di prestigio, perché lui ti fa vedere  le tre carte o le tre tavolette: “Questa vince, questa perde”e fa il gioco normale, lentamente e tu riesci a vedere dove la carta finisce, lo vedi perfettamente. Allora lui comincia i gioco, e gioca con il compare, ma la gente non lo sa. Tutto molto plateale, appoggia la mano sulla carta e dice: “ Qui cinquantamila lire” Questa vince, questa perde e intanto si è formato un gruppo di gente e allora solleva la carta e tac! Il compare vince!.Gioca e  perde e va avanti, lo fa una seconda volta con un’altro compare e anche questo vince le cinquantamila lire. A quel punto lì scatta la tagliola, perché bisogna tener presente il fatto psicologico di  quello che arriva sotto  il budino, che non sa come stanno le cose, oppure non ha sentito che qualcuno è andato in disgrazia .  Se uno guarda attentamente quelli che giocano nota che hanno  sempre gli occhi in movimento,da sinistra a destra e da destra a sinistra, perchè stanno aspettando che arrivi il contrasto, il budino. Quando arriva  quello che fa il gioco, fa la sceneggiata e con il compare che continua a vincere dice:” Basta, con lei non gioco più, ha già vinto abbastanza!”

Scatta la “portata tremenda”: “ Con lei non gioco più!” E gioca con gli altri compari, “con lei, con lei” e  arriva verso il budino. E fa finta di distrarsi. Quello che è stato escluso dal gioco tira fuori  cinquantamila lire e cerca di giocare, e rivolgendosi al budino: “ Giochi lei per me!”. E quella è l’esca. Perché il budino gioca e vince, ma non vince lui, ma quello che gli ha dato i soldi.

Riparte il gioco, stessa sceneggiata e rivince, allora il compare dice al budino:” Ma ha visto come è facile, ma giochi lei. Quello tira fuori il portafoglio . Quando tiri fuori il portafoglio hai già perso!. Perché se tu perdi la prima botta tenti di recuperare e così salta la seconda tagliola, perché da cinquantamila vai a centomila di colpo. Il giro viaggia con rapidità estrema, perché se no come fanno a campare in dieci? Curano uno solo finché quello li è spogliato, e poi passano ad un altro.

E’ una scena curata nei minimi particolari, perché nessuno spontaneamente gioca di suo.

Quello che invece è interessante è che la squadra  ha un sistema di calcolo molto preciso , perché prima di cominciare ad andare in pista vanno in un caffè e tutti tirano fuori i soldi che hanno in tasca. Uno fa la lista: Francesco 25 mila, Giovanni, per dire, il cassiere che ha di più 400 mila lire e fanno la somma: sono tutti soldi che loro hanno in tasca veramente eh! Cominciano a giocare. Allora, cosa succede: gioca il compare Giovanni gioca 50 mila e vince.  Poi c’è l’altro,gioga anche lui  e vince e i soldi vanno e vengono.

Poi ci sono quelli che giocano veramente e quindi il gioco passa dalle 50 alle 100 mila lire quindi c’è un’entrata e, volte c’è anche un’uscita però alla fine naturalmente i famosi “budini” c’hanno lasciato parecchie centinaia di carte da mille. Ritornano nel bar e bisogna sapere quanto si è incassato! Quanto avranno incassato? E lì non si sbaglia perché loro hanno un sistema, hanno  una calcolatrice “tascabile”: ogni fiammifero è 100 mila che viene passato da una tasca all'altra e alla fine i conti devono quadrare se no è un disastro!

Le parole importanti, io non è che conosco tutte le parole perché è un bel vocabolarietto ma il vocabolario soprattutto si riferisce anche a terminologie a parole del gergo che usano in Sicilia oppure in Toscana e sono diciamo abbastanza vicine alla parola che si usa in lombardia comunque la cravatta si definisce sfoglia ed ha, questo lo desumo io, è un po’ un fatto visivo, la sfoglia è una cravatta. La “Lima” è invece la camicia, la “berta è la tasca. Cosa te gh’et in berta?…. Te s’et a Terracina? Cià andem a ciarì : chiarire vuol dire bere . Sono a Terracina

Ma vieni non fare il “gagio” Gagio è tra il pubblico il meno sveglio degli altri. Cià andiamo in quella “piola” lì a smorfie.

Piola è un’osteria. Andiamo lì che si smorfisce veramente del togo, che vuol dire buono. Smorfisce è mangiare. Oppure “La Mecca” è la donna; un termine di mestiere era “I suoi visi” è generico cioè il saraffo davanti o il sotto attraverso lo sguardo capisce dove vai , perchè uno parla, ma se passa una bella ragazza io la guardo e tu sei li di fronte e ti  accorgi che sto guardando la ragazza, perché muovo gli occhi, quindi questo gioco tra il sotto e chi lavora è molto importante.

Per esempio  la frase " smiccia i sorrisi" e con gli occhi vai di lì, lui capisce che alla sua destra c’è qualcosa che non va. “Smiccia i sorrisi, loffio! Per dire che  c’è uno che è balordo e bisogna tenerlo sott'occhio.

VENDITORE  DI PROFUMI

Dello stesso calibro era un venditore di profumi di Novara. Questo cosa faceva? Raccoglieva delle bottiglie, andava alla “Nettezza urbana” raccoglieva tutte le bottiglie di profumo o di acqua di colonia che c’erano, le portava a casa, la moglie le puliva perfettamente, dopodiché venivano asciugate, etichettate, togliendo le originali, mettevano delle altre etichette di loro produzione e poi riempivano tutte queste bottigliette di acqua del colore della  colonia , quindi partivano da flaconcini piccolissimi, per finire a bottiglie da mezzo litro.

Si caricavano, perché andavano a piedi questi qua, non avevano i mezzi, due valige di fibra che saranno pesate venticinque chili l’una.Le bottiglie venivano avvolte in carta velina bianca, per dare una certa presentazione e portate poi sul mercato. Il solito foglio di carta da pacco, le due valige a terra alle estremità sempre su e poi in un modo o nell’altro attirava la gente e una volta formato il capannello cosa faceva? Cominciava a “sbombonare”, a dare i bon bon e i bon bon cos’erano? Erano quei  flaconcini piccoli  di profumo, li confezionava, li faceva vedere, e diceva “ Io naturalmente ho fatto un blocco di questa merce ad un prezzo veramente eccezionale, ho fatto un affare, lo faccio fare anche a voi! Allora tanto per incominciare pigliava la boccetta di profumo: “Senta il profumo” eccetera,  eccetera, la stappava faceva sentire…e diceva “La porti a casa a sua sorella, lei alla sua mamma e incominciava a scaldare la gente, certo non posso.. anch’io la merce l’ho pagata, ho voluto darvi un assaggio e adesso naturalmente cominciamo con una bottiglia un po’ più grande ecco questa qui cosa costa? Quanto vale ? Vale cinque lire …naturalmente di allora (dobbiamo fare il parallelo con oggi ) quanto vale? Vale mille lire!, bene di questa mi date ma che mille lire! Mille lire, cinquecento, quattrocento! Toh, al primo che la vuole duecento lire! E via! Questa, questa e quest’altra e via via,  passava sempre alle confezioni più grandi. Era implicito che doveva darla tutta quella merce, per una ragione semplice, perché era merce che pesava troppo, quindi riportarla indietro era dura! La frase che molte volte diceva era “Allora ecco  Slenzon de Paris” Slenza, in gergo, vuol dire acqua, l’acqua di Parigi eccola. Oppure in un momento verso la fine, arrivava sulle bottiglie grosse e diceva “E non è possibile portarla indietro, perché sarebbe come portare l’acqua alla propria fonte!”. E andava sino alla fine…Il particolare, il trucco in cosa consisteva : per quello che guadagnava io dico che la gente pagava ugualmente poco, anche perché portava a casa acqua colorata e basta però  per la fatica che faceva lui, il venditore, effettivamente…era poco.Quando faceva sentire l’odore di profumo  faceva sentire, ma che cosa faceva sentire? Stappava la bottiglia ed era il tappo che faceva sentire, perché l’unica cosa profumata era il tappo. Capito?  Questo era  quello dei profumi. Subito dopo la guerra c’erano anche questi personaggi.

 

(*) Vedi in  “Milano e il suo territorio”  Silvana Editoriale, 1985, volume II, Bruno Pianta  “ Vendere le parole. Marginali e mondo ambulante nella cultura popolare”