Intervista a Edda “Dede” De Antiquis –

Forlì 18 giugno 2008 - Sede AICA via O. Guerrrini 28

Raccolta da Tiziana Oppizzi e Claudio Piccoli -

 

 

                  

D: Che ricordi hai della tua famiglia quando eri bambina?

Questa è la foto della carovana dove sono nata, con le ruote dure di legno, trainata dai cavalli. Quel periodo, quando si viveva nelle carovane, è molto presente nella mia memoria. Era una bella carovanetta per quei tempi, di legno, decorata, con le tende di velluto alle finestrelle, c’era un cassettone, che poi era il nostro letto e sotto c’erano dei cassetti come fosse un comò. Ci si scaldava con stufe a legna e lo spazio era suddiviso con dei separè che delimitavano le varie stanze.

Sono nata a Macerata perché i miei erano andati lì a fare un periodo di lavoro. Una volta andavano a lavorare di qua e di là e infatti le mie sorelle sono nate in posti diversi. Io sono nata a Macerata, la Marusca a Cremona e la Mara a Piacenza.

Marusca nel 1929, Mara nel ’32, e io nel 1938. La mamma avrebbe avuto otto figli che poi non sono vissuti, l’ultimo è nato in tempo di guerra ed è morto perché è nato settimino. I miei primi ricordi cominciano da lì. Eravamo arrivati a Forlì, in piazza Mangelli, avevamo una carovana del circo che si è incendiata. Avevamo anche una cagnetta che era ammaestrata e si chiamava Birilla.Quella volta ricordo che ci ha salvati tutti abbaiando avvisandoci del pericolo. Lavorava con mio padre che faceva Ridolini, chitarrista e fisarmonicista, interprete di canzoni comiche e brillanti. Avevamo dei “giochi” con dei tiri al bersaglio che sparavano delle bombette, tenuti dal nonno Mario e dalla nonna .

Dei nonni materni e paterni ho ricordi molto vivi perché erano gente speciale che non si può dimenticare. I nonni materni erano Mario Cresti ( La famiglia Cresti nota[21]) del 1904, toscano, campione di lotta greco-romana e la nonna Anna Mancini, il cui nome d’arte era Madame Fifì, perché era minuscola e dotata di grande intelligenza, recitava e faceva da spalla al nonno. Una coppia molto affiatata, innamoratissimi, forza e fantasia uniti insieme.

Dei nonni paterni c’era la nonna Lucia De Antiquis (nota[22] ). di cui il babbo porta il nome perché era ragazza madre, infatti il suo compagno Silvio Amadori, musicista, suonatore di tromba, è morto che lui era piccolissimo e non ha potuto riconoscerlo perchè Lucia era minorenne e a quei tempi non potevano sposarsi.

Mio papà è stato allevato da Romolo Bagni di Carpi, che gli ha fatto da patrigno, anche lui cantastorie e suonatore di violino. Nonna Lucia era fantastica suonatrice di chitarra e ha allevato il babbo in giro nelle piazze.

Dei nonni conservo dei ricordi splendidi in quanto erano persone senza uguali, irripetibili, ognuno con una storia avventurosa alle spalle fatta di tenacia, abilità e poesia nello stesso tempo.

 

Il mio babbo Lorenzo De Antiquis è nato nel1909 a Savignano sul Rubicone (nota[23] ). Mi ha raccontato che all’età di 6 anni, quindi dopo la guerra del 1915/18, cantava già in piazza le operette, cantava Sogno d’or con una voce bellissima.

Il babbo da piccolo ha iniziato andando a cantare con i nonni nei caffè e ha sviluppato doti canore e musicali che gli sono servite in seguito quando ha iniziato a fare il cantastorie.

Da ragazzo ha lavorato con la famiglia di Alfredo Cagnoli, di Cento di Ferrara, marionettisti, burattinai e attori (nota[24]) d’eccezione e a Riccione con i F.lli Picchi, scenografi (nota[25]). Questo per dire che allora nel mondo della piazza c’era molto scambio, si imparava a fare un po’ di tutto. Nel 1923-’24 a San Felice sul Panaro vicino a Crevalcore, la famiglia circense Cresti di mia mamma e i De Antiquis del babbo cantastorie, si uniscono e fanno vita di carovana insieme. C’era la grande depressione, molta miseria e le piccole compagnie facevano la fame, hanno unito le forze per fare spettacoli che attirassero maggiormente il pubblico. Alla fine degli anni ’20 queste due compagnie fecero vita in comune con spettacoli vari percorrendo i paesi da Riccione, Rimini fino a Bellaria. Mio papà alternava l’attività di cantastorie, sua preferita, con prestazioni in spettacoli di circo e arte varia. Fino all’inizio della seconda guerra mondiale girano le piazze dando vita al terzetto Bufalo-Fagiolino-Ridolini. Il nonno, che aveva lavorato con Buffalo Bill, faceva il “forzuto”, il fratello della mamma Fagiolino, acrobata che eseguiva salti di 3-4 metri e il babbo

il clown. (nota[26])

I miei genitori sono cresciuti assieme e si sono sposati giovanetti.

La mamma, Elba Cresti, classe 1912, era una impeccabile ginnasta, ebbe come maestro il famoso domatore Oscar Kenniot(nota [27]), fu una campionessa eccezionale del mondo dei saltimbanchi e del circo. La premessa era necessaria per inquadrare meglio tutti i componenti della mia famiglia.

I miei ricordi, come dicevo, iniziano in piazza Mangelli, quando siamo rimasti fermi perché era scoppiata la guerra, tutti gli uomini sono andati a militare, compreso mio padre. Poteva non andarci, ma è andato volontario, poi è rimasto ferito a una gamba. Mio padre, era un uomo con un grande senso dell’onore.

In quegli anni mia mamma, poverina, per poter tirare avanti è andata a lavorare in una fabbrica poco distante da casa. Io, che ero la più piccola, venivo accudita da una signora benestante, che non lo faceva per soldi, il marito era spesso in viaggio. Lei viveva in un albergo lì vicino e ha voluto occuparsi di noi tre sorelline. Ci portava al cinema o ai giardini pubblici e noi eravamo molto contente. Finché un giorno mi ha preso, ha detto che andava a trovare sua mamma e invece è sparita con me appresso. Allora avevo tre anni e mezzo. Mi hanno ritrovato dopo 12 giorni, questa donna mi ha rapito, abbandonandomi poi dalle suore a Bari. La nonna è corsa a prendermi e mi ha riportato a Forlì. Ricordo una gran festa, mi hanno regalato molti giocattoli e sono arrivate tante persone ad ricevermi. Nella mia mente di quel periodo ho dei ricordi un po’ confusi, ma questo rapimento mi è rimasto impresso.

C’era la guerra e in casa non si parlava più di fare il circo, le bombe, la miseria. Noi siamo scappate in campagna, a Malmissola dove adesso c’è la tomba di famiglia. In questo paesino sono sepolti tutti vecchi, c’è anche il babbo che è morto nel 1999 e la mamma nel 2000.

Nel periodo della guerra praticamente non si lavorava, però noi siamo stati sempre gente viva, così nelle aie, quando tagliavano il grano, noi si faceva degli spettacoli improvvisati per far contenti i residenti, in mezzo a quella malinconia il babbo suonava, noi facevamo quello che sapevamo fare, ballavamo e anche esercizi ginnici, capriole, contorsionismo un po’ di tutto.

Verso la fine della guerra con le carovane distrutte, non avevamo più niente. Così siamo entrati in una casa. La prima che abbiamo abitato è stata alle Torri della Porta di Forlì, sede delle Edizioni “Elba Cresti” dove il babbo stampava i fogli volanti con le sue ballate. Poi è stata bombardata e siamo andati in un’altra poco distante in piazza Mangelli. Noi come tutta la gente ci si arrangiava un po’. Lì in quella casa che abbiamo riparato per poterci vivere poco distante sono arrivati gli alleati. Erano tutti dei neozelandesi, con un capitano. Noi avevamo una camera che confinava con loro, ci divideva un muro. La nostra famiglia era molto numerosa in quella casa, eravamo in nove e il babbo voleva riprendere a fare le piazze. Eravamo tutti insieme, nonni cugine e una sera si è messo a comporre qualcosa, mentre suonava, faceva degli arpeggi con la chitarra che abbiamo ancora, la chitarra- lira fabbricata da Mozzani , della nonna Lucia. Mentre componeva, ha sentito che dall’altra parte gli rispondeva qualcuno con uno strumento strano che non sapevamo che musica fosse. Mio padre faceva il “cantabile” e quell’altro faceva l’accompagnamento, come nei madrigali.

Quando è finita la musica il babbo si è alzato, non ha resistito, in mezzo a quel macello della guerra, la solitudine e così, sentire quella musica è stata come una rinascita… ha preso è andato fuori dalla porta e si è incontrato con questo neozelandese che era capitano Enrico. Comandava un reparto soldati che rifornivano il fronte a Faenza. Avevano l’approvvigionamento, così noi da quel momento non abbiamo più patito la fame.

Casa nostra era diventata un club di musica, la sera si ballava, si cantava….Siamo intorno al 1944/45, mi ricordo perché ho iniziato ad andare a scuola. Mia mamma aspettava l’ultimo bambino, che poi non è vissuto e quando doveva partorire l’hanno accompagnata all’ospedale dei soldati neozelandesi. E’ stata proprio un’amicizia fraterna, non so molto di più, so soltanto che questa familiarità nata dalla musica è stata molto intensa e l’abbiamo conservata nel cuore. Ricordo che mia mamma e mia nonna scambiavano le vettovaglie con cose cucite a mano con questi ragazzi di una bontà assoluta. Ci sono stati momenti tristi quando ne moriva uno piangevamo tutti, perché ormai li conoscevamo ed erano quasi di famiglia.

Due o tre anni fa, non era tanto che il papà e la mamma erano mancati, è stato per me un vuoto tremendo, mi è arrivata una lettera di una signorina che ha fatto delle ricerche sulla famiglia De Antiquis. Così le ho risposto e ci siamo incontrati con il figlio e la figlia di capitano Enrico. Pensate che a distanza di sessant’anni mi hanno riportato la fotografia che è rimasta nel portafoglio del loro padre. Quando è morto hanno ritrovato l’indirizzo con la fotografia mia e della Marusca vestita della prima comunione. Pensando a una cosa importante, hanno voluto conoscere la nostra famiglia. E’ stata una bellissima cosa di quel periodo travagliato ritornata alla luce. Un tuffo nell’infanzia, come se venisse fuori qualcosa dalla nebbia, una cosa mai provata. Io in quegli anni ero la ballerina e la cantantina. Cantavo col babbo avevo sei sette anni all’epoca.

Subito dopo la guerra il babbo ha voluto ricominciare a fare il Circo: …..le case erano distrutte, le carovane anche, non avevamo niente così abbiamo preso quattro pali…. e poi dopo abbiamo fatto un capannotto a cui abbiamo aggiunto dei vecchi pannò di bersaglio, ossia i tirasegni, quelli che ci sono nei luna park. La mamma insieme al circo ha sempre voluto tenere anche il tirasegno, con le carabine e il pallino per arrotondare un po’ le entrate. Intanto che c’era lo spettacolo, quelli che rimanevano fuori, i passanti, potevano fare un tiro o due con la carabina, noi della famiglia ci alternavamo un po’ al banco secondo delle necessità.

Successivamente d’estate abbiamo cominciato a fare tutte le spiagge Rimini, Torre Pedrera, Bellaria, invece d’inverno facevamo i paesini di montagna.

Sempre in quegli anni del dopoguerra una volta è venuto a Forlì il Circo Orfei.(nota[28])

In quell’occasione dovevano fare uno spettacolo, ma si erano ammalati tutti, c’era l’asiatica, e la moglie di Orfei, Moira, avrà avuto sedici diciassette anni, anche lei aveva la febbre. Così hanno chiesto a noi se potevamo aiutarli. D’inverno mica sempre si lavorava…. trovare d’andar su in montagna, bisognava andare nei circoli, nei teatrini, dovevamo andare nei paesini sperduti qui intorno, non era facile come adesso. Così questo ingaggio del Circo Orfei ci ha fatto piacere.

Il nonno Mario poi era parente degli Orfei tramite il fratello Carlo Cresti che ha sposato Vittoria Orfei, la stessa famiglia che si cimentò nel salto del treno che ha ottenuto in quegli anni grande successo. Loro avevano nello spettacolo il numero di Tarzan : un’equilibrista che camminava su una corda a piedi nudi con le aste e… prima c’era l’odalisca che danzava. Allora noi, prendendo spunto da questo numero, c’è venuta una idea. Li abbiamo aiutati, poi quando loro sono andati via , abbiamo deciso di mettere insieme il numero di Tarzan.

Allora “il Tarzan”” è diventato una donna “la Tarzan”, mia mamma che era un personaggio incredibile, con un cordone tipo quello delle navi andava su fino il cima e poi faceva delle evoluzioni spericolate, era bravissima e faceva restare senza fiato il pubblico.

Però le ballerine che dovevano fare le odalische, le mie sorelle erano due pezzi di palo, non andavano a tempo e il nonno si arrabbiava! Il babbo suonava “tabù”? con la fisarmonica mi sembra o caravan, non mi ricordo più …insomma morale queste due somare non ce la facevano e io…. a forza di vederle, come un gioco ho cominciato a cantare in un angolino fino che tutti sono stati zitti, io mi son girata ho visto che tutti mi guardavano e han detto “Abbiamo trovato! La ballerina la fa la Dedi!”

Avevo nove anni, era il 1947, e mi ricordo che abbiamo debuttato a Premilcuore in un teatrino. Mi ero studiata tutta la coreografia: ho voluto una lampadina con la carta rossa, per far effetto, faceva atmosfera, poi avevamo un disco che faceva “Bingo Bongo”, ma prima di quello c’era una introduzione con la voce grossa cavernosa “Bingo, Bongo Uiaiaia, uiaiaia”. Era bellissimo e a quei tempi mi dava delle suggestioni…anche alla gente perchè non è come adesso che c’è tutto …. A quei tempi una musica così rapiva … Dopo l’introduzione musicale, avevo scelto un’altra musica travolgente. La coreografia me la sono inventata al momento e ha avuto successo . Penso che il motivo del successo fosse proprio perché ero una bambina, facevo tenerezza. Così è nato il numero di Tarzan.

Di conseguenza, mentre prima ero una mocciosa un po’ noiosa che tutti scartavano, dopo il debutto sono diventata quasi una prima donna. Dopo giocavo le mie carte eh.! perché era diventato il numero di punta.

Però la scuola ne soffriva e….allora abbiamo fatto un compromesso: tutta la famiglia andava nelle piazze il lunedì, poi io li raggiungevo il fine settimana.

A quei tempi avevamo un furgonato con una motocicletta che trainava il tutto.

Dietro avevamo i pali che uscivano fuori con un cartello per i carichi sporgenti e la sera, sulla strada del ritorno, eravamo sempre preoccupati perchè tutti i camionisti ci facevano degli urli, me lo ricordo ancora, da brivido!

Allora tutta la famiglia andava avanti e mi venivano a prendere il sabato quando finiva la scuola. Poi mio babbo ha voluto che studiassimo la musica: vai a studiare la musica, vai a lavorare, vai a scuola insomma io non facevo niente, ero diventata un po’una lazzarona….

Quando si è sposata mia sorella più grande, Marusca, allora dopo ho dovuto fare anche i numeri di mia sorella, eravamo intorno al 1950, ’51. Il babbo la mattina andava a fare le piazze come cantastorie. Aveva composto delle canzoni come “Maria Goretti”(testo nota[29]) voleva che la cantassi io, cantavo molto col babbo, le sapevo tutte. Ricordo che andavo a casa dei gaggi, ( quelli fermi nel gergo dello spettacolo viaggiante) dai bambini, mi invitavano e io andavo nelle case per fare piacere, cantavo le canzoni, cantavo i fatti e la gente piangeva. Allora il babbo quando poteva mi portava a fare qualche treppo. Però mia mamma mi reclamava per il suo lavoro del tirassegno, ma a me piaceva di più andare col babbo. Insomma siamo state anche un po’ schiavizzate, però ricordo con piacere quando andavamo nelle piazze col babbo e sono arrivata anche a far qualcosa di bello.                                                      

Non ho mai fatto le postegge da sola perché il babbo non voleva, era geloso di noi, non voleva perché io da giovane ero una ragazza abbastanza procace, e c’era la gente che quando andavo a girare con lui mi dava fastidio, allora non mi sono mai esibita da sola pur sapendo suonare e cantare.

Nel 1956, avevo sedici anni, si è sposata anche mia sorella Mara con un appartenente alla famiglia Sambiase [30]. Così ho ereditato tutti i numeri delle mie sorelle: equilibrio sopra i tavoli, gli anelli con la mamma, il Caucciù (la piramide umana), poi facevo i balli e cantavo anche qualche canzone. Prima di tutti ho fatto il pagliaccio col babbo. Facevo Cipollino , facevamo degli scketch. Mettevo il naso in prigione con la pallina, mettevo la biacca con la farina, poi con la candela e coi fiammiferi mio zio, fratello di mia mamma, mi faceva le righe nere: quelli erano gli strumenti per il trucco. Abbiamo fatto il circo fino a quando la mamma a Cervia (nota[31])ha camminato sul filo l’ultima volta. Era nato il suo primo nipotino, Roberto, e ha detto “Sono diventata una nonna e do l’addio alla ginnastica”, anche perché facevamo fatica ad andare avanti.

Allora il babbo da quel momento lì è andato sempre a fare il cantastorie e noi con la mamma siamo andate a finire nei Luna Park.

Nel 1964, ad Ancona, ho sposato Guglielmo Callegari , nipote di Umberto, fondatore dell’AGIS. Sui giornali locali hanno dato notizia perché lui era il nipote del pioniere dello spettacolo viaggiante, Commendatore e Ufficiale della Gran Corona.

La famiglia Callegari aveva dei “Vulcani” cioè dei giochi a premi, hanno comprato una baracca d’entrata della donna serpente, così sposando mio marito mi sono trovata in una famiglia di spettacolisti, dove mio marito faceva il presentatore, doveva radunare il pubblico, fare cioè la “parata”.

A Milano a quei tempi avevamo anche “il tiro ai fagiani” che erano disegnati, non vivi, ho lavorato insieme a tanti giostrai all’Idroscalo sette, otto anni e c’era anche Delfino Mantovani (nota[32]) figlio di Tajadela, soprannome del cantastorie Dario Mantovani, (nota[33]) e ricordo che cantavamo con la mia fisarmonica.

Io in quel momento capivo tutto, ma non avevo voglia di ricominciare un’altra volta a fare degli spettacoli, perché avevo mio figlio Gastone e volevo fare la mamma non volevo occuparmi d’altro, ma in una famiglia non si può rimanere passivi, specialmente nello spettacolo viaggiante.

Così una volta è capitato che eravamo ai Colli di Pescara e c’era la gente che non era interessata. Mio marito si spolmonava, ma non riuscivano a radunare il pubblico, la cosiddetta parata, per invogliare la gente ad entrare. Allora mi sono aggiustata un po’ e ho rispolverato il vecchio mestiere di “Ballerina”. Sono andata su e mi sono inventata un numero che ha avuto un gran successo.

La baracca d’entrata attirava molto pubblico perché c’era questa novità, era l’anno dello “Ye Ye” e io mi ero fatta le sottanelle d’argento con le frangette, ho capito che con quella storiella lì mio marito si spolmonava meno, che la sera non respirava più, e si attirava più gente. E lì in quel periodo sono diventata la “Lola” dello spettacolo di mia suocera che si chiamava The Big Schow . Girando nelle varie piazze, siamo finiti a Genova.

D. Descrivici questo spettacolo?

Era uno spettacolo con i serpenti, nella parata, cioè fuori, io facevo la “rottura”, ma dentro non facevo niente.

Praticamente il presentatore,mio marito, diceva “Adesso vi faremo vedere una parte del nostro spettacolo….ecco a voi Lola!” E alè, arrivavo io e ballavo “Stasera mi butto”, quella di Rocky Robert poi “Little Man”, facevo un po’ la Marlene Dietrich.

Dopo la nostra breve esibizione, c’era anche un ballerino con me, perché successivamente facevamo anche balli di coppia su di un palchetto, li inventavamo, non c’era mai la stessa cosa, tutto ideato lì per lì, c’era lo spettacolo vero e proprio dentro la baracca. La cognata che era abile, molto plastica maneggiava con dimestichezza questo serpente Johnny, un pitone di 3-4 metri, che attorcigliava intorno al corpo e poi molto lentamente si chinava e realizzava questa figura del bacio della morte. Io avevo paura per lei perché i serpenti li odiavo e in più Johnny veniva messo nella mia roulotte. Aveva un piccolo spazio dietro alla cabina, lo mettevano lì con le boulle di acqua calda perché il serpente doveva avere una temperatura che bisognava mantenere costante. Io sapevo che il serpente era dietro alla parete e lo sentivo anche quando mangiava!.

A Genova, ricordo, si guadagnava bene. In quella occasione abbiamo avuto la visita di un comitato arabo che organizzava la Fiera di Tripoli. Cercavano delle baracche e degli spettacoli da portare in Libia per la Fiera di Tripoli e quella di Bengasi.

Hanno fatto il giro di tutti i padiglioni, era una domenica in pieno lavoro, e quello che li ha attirati è stato il nostro spettacolo. Quindi spettacolo lo abbiamo portato anche in Africa.

Il primo anno mio marito è andato da solo e il secondo anno sono andata anch’io perché avevamo comperato una nuova roulotte, c’erano dei debiti da pagare.

Era il 1969, in Libia c’era ancora il Re Idriz. ci siamo esibiti in sua presenza e vedendo lo spettacolo si è complimentato perché portavamo delle danze orientali.

Quando eravamo a Bengasi la prima parata che abbiamo fatto c’era molta gente. Naturalmente tutti arabi vestiti con i baraccani e noi per non rischiare avevamo messo le transenne, perché lì a vedere una donna in costume o con le gonne corte, qua era quasi normale, ma là…

Il ragazzo poi non ha potuto più ballare con me fuori dal padiglione perché era giudicato troppo sexy, così ero solo io la ballerina . Il ballerino che era un bellissimo ragazzo, danzava dentro nel padiglione, per me era come un fratellone, si chiamava Manuel, e veniva dietro in carovana con noi!

Il giorno del debutto c’era la gente così …e a me è venuto il panico non ce la facevo ad uscire e ricordo che mia suocera mi ha dato un calcio sul di dietro per mandarmi fuori, era un tipo molto energico e col senno di poi ho ritenuto giusto il suo comportamento, così bisogna fare!, Quando sono uscita ho visto tutta quella gente, tutti si aspettavano che io facessi qualcosa …e siccome ho sempre sentito tanto la musica, la musica mi porta in paradiso, ho cominciato a ballare e mi sono dimenticata che c’era la gente. Poi il numero si doveva interrompere con uno “stop” perché bisognava invitare la gente ad entrare, dare solo un accenno per attirare il pubblico, 

se vedevano tutto fuori dal padiglione, era finito lo scopo, Dopo lo spettacolo continuava all’interno per coloro che pagavano il biglietto.

Abbiamo lavorato molto e ho passato tante avventure.

Poi la situazione politica in Libia ha cominciato a degenerare, ce l’avevano con gli ebrei e con gli europei, non si poteva uscire fuori dalla fiera, eravamo blindati, … così abbiamo deciso di muoverci, di andare nel deserto. Lì abbiamo avuto un incidente e mia suocera voleva tornare indietro, rifare altri 250 chilometri. Io mi sono rifiutata perché avevo paura, pensare noi donne sole in pieno deserto con quel caldo. Abbiamo fatto una vita d’inferno! Sei giorni con quel vento rosso, polvere talmente sottile che entra dappertutto, va persino nello stomaco che quando siamo arrivati a Tripoli eravamo tutti irriconoscibili.

Questo incidente di notte ha comportato che abbiamo dovuto ospitare la gente che c’era su quella carovana rotta, così ricordo che si stava molto stretti e la mia bella carovana era stracolma di materiali che ci servivano per lo spettacolo.

La mia carovana era proprio bella con le stanzette e arredata con gusto: trainata da camion, era una vera e propria casa viaggiante. Chi ha provato a viverci non riesce a farne a meno, ad esempio mia sorella tuttora vive ancora qua, poco distante, in una carovana. Adesso lei per problemi di salute dovrebbe andare a stare in una casa, ma non vuole perché è abituata a vivere così.            

Quando eravamo in viaggio mia suocera aveva la sua carovana, io avevo la mia perché mi è sempre piaciuto avere le mie cose a posto, se no non vivi, cosa diventi? In queste carovane ci voleva sempre ordine e pulizia perché se no ti trasformi in una barbara! Questo a me l’ha insegnato mia mamma e prima ancora mia nonna quando eravamo piccole.  

C’era mia sorella Mara che era una maniaca dell’ordine e anche in quei piccoli spazi noi non siamo mai stati sporchi e scombinati. Quando adesso dicono che i nomadi sono sudici è perché lo vogliono essere e se gli dai una casa diventano così anche in una casa.

Tornando a quel viaggio siamo stati tre mesi in Libia, un mese e mezzo a Tripoli e un mese e mezzo a Bendasi, compreso il viaggio nel deserto di una settimana. Ci hanno imbarcato a Bari e prima ho lasciato il mio bambino con grandissimo dispiacere qui a mia mamma che me l’ha tenuto.

Siam partiti di qui e siamo andati a Bari e lì ci hanno fatto tutte le vaccinazioni .C’era il colera, pensare che sono stati male tutti e io non ho avuto niente. Altri che sono partiti con noi hanno avuto molti disturbi!

A Tripoli è andata benissimo anche se sono diventata magra come un chiodo! Dovevamo fare 40 spettacolini al giorno. Si cominciava alle due e si finiva alle due di notte senza uscire eh! Non si poteva andare neanche alla toilette.

Io e mia cognata eravamo dietro un camerino dove avevamo difficoltà anche a respirare e tra il belletto e le sudate dal gran caldo ci colava tutto il trucco. Noi per poter respirare alzavamo un pezzo di telone ed era l’unico spiraglio d’aria che avevamo non c’era altro! non c’eran ventilatori, climatizzatori o altro, non c’era niente, adesso bella è la vita!

E lì è andata avanti così fino all’ultima sera, grande successo, hanno guadagnato tutti, e abbiamo pensato di fare una serata di addio. D’accordo con il comitato arabo

siamo andati a cena e poi tutti volevamo vedere i teatri orientali, le danze del ventre che sono una meraviglia, soprattutto le orchestre…

Insomma ultima sera, poi si doveva rientrare in Italia, abbiamo festeggiato ed è successo il finimondo!

Siamo andati in un locale nella “casba” di Tripoli che si chiamava “Mocambo”. C’era una ballerina egiziana che era la fine del mondo. Ricordo che alcuni ragazzi erano un po’ eccitati e hanno cominciato a battere le mani su una danza rituale tuareg. Ma loro non sapevano che fosse proibito!

La cosa si è svolta così: mio cognato che allora aveva sedici anni, in mezzo a quel parapiglia ha fatto a pugni con questi arabi del locale e quelli per tutta risposta hanno tirato fuori il coltello.

Io l’ho visto lì appoggiato sanguinante, perché lo avevano accoltellato, l’ha salvato quei cinturoni hippies di cuoio che si usavano allora, comunque all’ospedale gli hanno dato quattro punti! Io l’ho soccorso e l’ho portato dentro la macchina, è arrivato il responsabile del comitato e ha detto bisogna scappar via perché si stava mettendo male la faccenda.

Ma purtroppo non ce l’abbiamo fatta ci ha chiuso la strada la polizia e meno male che era la polizia, anche andare in galera, ma non t’ammazzano e così siamo andati a finire tutti in questura. Nove ragazzi e una donna: io. E lì cari miei erano mica tanto gentili con le donne!

Questa rissa che è avvenuta ha fatto una quarantina di feriti, chi con gli occhi neri, chi ferito, un macello! Da un futile motivo la cosa è degenerata.

Lì in questura ricordo che mio cognato stava male, si sentiva svenire, allora io ho preso uno della questura e gli ho detto: “ Guardi che in base alla Convenzione di Ginevra prima si devono curare i feriti, dopo noi siamo a vostra disposizione! Lui allora l’ha portato via. Quando è tornato gli ho detto che avevo sete allora lui mi ha detto “Tu donna con la lingua troppo lunga!”.

Dentro quello stanzone ho pensato: “se resto qua dentro chissà cosa mi fanno” tant’è vero che si è passata la voce e si sono attivati i responsabili del comitato arabo e hanno detto che ero in grande pericolo. Anche i ragazzi che sono rimasti dentro non se la sono passata bene, li hanno trattenuti per quindici giorni e con loro anche mio marito e mio cognato. Per fortuna, grazie all’intervento di quelli del Comitato, mi hanno subito rilasciata e con una nave insieme ad altri sono ripartita per l’Italia. Poi tramite il consolato, dopo quindici giorni, hanno rilasciato anche il gruppo con mio marito, ma hanno sofferto tanto dentro quella galera!

In quel gruppo c’erano tutti ragazzi giovani atleti quelli che facevano il “muro della morte” con moto bici e car, ricordo che c’erano “I Manfredini (nota[34]) erano in 18. Eravamo in due navi con 54 mezzi, la prima dove sono rientrata anch’io e la seconda ha aspettato che uscisse tutto il gruppo.

Dopo questa burrascosa esperienza ci siamo divisi con mia suocera.

Io con mio marito siamo andati a Milano all’Idroscalo. Li c’era e c’è tuttora un grande Luna Park e dietro ci sono anche delle casette prefabbricate e roulotte dove la gente del luna park vive stabilmente.

Lì abbiamo deciso, io e mio marito, di rimanere mettendo su un “tiro ai fagiani”, ma non c’erano animali veri, c’erano dei cartoncini con dei fucili. Lì, come ho detto prima, ho rincontrato l’amico Delfino Mantovani con cui ho ricominciato a suonare e cantare, lo conoscevo bene perché è il figlio di Tajadéla, un grande cantastorie degli anni ’50, molto amico del babbo.

Hai conosciuto molti cantastorie colleghi di tuo padre?

Io li chiamo i “compagni di viaggio” del babbo furono Bobi il Magnifico (nota[35]), Mario Bruzzi (nota[36]), Tonino Scandellari (nota[37] ), Piazza Marino (nota[38] ), Sigfrido Mantovani (nota[39]) . Avevano un grande sodalizio di amicizia e quando si incontravano in un mercato si esibivano insieme perché era più facile che i vigili rilasciassero il permesso. Tante volte non li lasciavano lavorare ed è per questo che il babbo ha deciso di fondare L’AICA (Associazione Italiana Cantastorie (nota [40]). Ma ne parleremo più avanti.

Intorno al 1970, il babbo spesso mi veniva a trovare a Milano e mi faceva cantare le sue canzoni. Una volta è arrivato perchè voleva che imparassi velocemente la ballata intitolata “Maria Teresa” per poter andare ad incidere un 45 giri presso la casa discografica” Fonola” e anche tante altre volte e mi dava sempre dei pezzi nuovi da cantare ricordo anche quella di “Daniela Marra” fino a che sono andata in Francia.

All’Idroscalo sono rimasta fino al 1974, quando mi sono separata.

Dopo tante traversie ho deciso che non volevo stare più lì e sono ritornata a Forlì con il babbo che era contento che così cantavamo ancora un po’ assieme e in quel periodo abbiamo fatto alcuni spettacoli anche per l’Amministrazione comunale.

Con Delfino e la moglie, donna molto concreta che era mia grande amica, siamo rimaste sempre in contatto e serbo un bel ricordo della nostra amicizia fraterna.

Poi ho deciso di emigrare Francia.  

I primi momenti della separazione sono stati duri, abitavo dai miei cugini, ero da sola con due bambini e inizialmente mi hanno dato ospitalità in una casa. Poi mi sono offerta di lavorare presso la Croce Rossa. In questo modo ho potuto ottenere il permesso di soggiorno e il diritto a mandare i miei figli a scuola. In Francia ho cambiato tre o quattro volte casa poi mi sono impiegata presso le case di recupero per giovani, successivamente in quelle di riposo per anziani e negli ospedali.

Poi ho fatto degli stage di perfezionamento della lingua francese e ho scritto anche una storia, “La storia di un saltimbanco” con cui ho vinto un premio nel 1991.

In Francia sono rimasta per 20 anni, fino al 1994. Ho fatto molte conoscenze in quegli anni. Una per me importante è stata Madame Daniela Brolli che era la direttrice del Fouayè de Personne Ageè e direttrice De Jeune Travailleur. Aveva sposato un italiano, era una donna molto volitiva e io le ho raccontato la mia storia, del circo e anche del babbo e così quando organizzava degli spettacoli mi chiamava , abbiamo cantato e anche ballato per animare le feste.

La mia esperienza mi ha aiutato anche a livello comunicativo, mi piace stare in compagnia, suonare e cantare. Anche in Svizzera ho cantato per gli immigrati, io sapevo suonare la fisarmonica e con questa mi accompagnavo nel canto, adesso non ho più modo di suonare e la fisarmonica se non la suoni perdi l’esercizio.

Per molti anni sono stata impegnata ad allevare i miei figli, non è stata una vita facile, io rido e scherzo ma …mi sono sempre inventata dei mestieri. Dalla vita in carovana ad un lavoro stabile ho fatto un percorso molto vario, ma difficoltoso ….ma noi gente del viaggio siamo fatti così!

In Francia mi hanno dato lavoro perché mi districavo in tutto! Io ho preso il posto di una che era in vacanza e dopo non mi hanno più mollato, perché ero capace anche di cambiare un rubinetto, perchè so fare un po’ di tutto!

Quando lavoravo alla Casa Del Giovane Lavoratore ho aiutato tutti, mi chiamavano la mamma di tutti …ho degli attestati, non sono storie ! C’era la severità però io mi davo da fare sempre per tutti.

Ci sono degli aneddoti sulla tua famiglia che vuoi raccontarci?

Ci sono tanti aneddoti da raccontare sulla mia famiglia.

C’è un ricordo ad esempio di Secondo Casadei [41]. Tempo fa sono stata invitata a Savignano di Romagna. Mi hanno invitato insieme al cantastorie Pietro Corbari che ha fatto lo spettacolo dal titolo “I me noghe” dedicato al mio babbo. In pratica lo spettacolo rispecchiava un po’ i personaggi della mia famiglia ad esempio mia madre che era un po’ grintosa, ma era così veramente nella realtà. Il babbo era un sognatore e un poeta e mia mamma era quella con i piedi per terra.

Questa serata era in onore dei tre personaggi famosi di Savignano di Romagna: Secondo Casadei, Lina Pagliughi, cantante bravissima, che la chiamavano la Callas perché aveva una voce divina, e Lorenzo De Antiquis. Hanno invitato anche me, c’era il sindaco e l’assessore alla cultura e hanno voluto sapere della nostra vita errabonda di noi saltimbanchi.

Io ho raccontato della “sedia della Pagliughi”.

Quando facevamo compagnia con mio nonno, si parla degli anni ’40, avevamo un attrezzo che non era una vera e propria sedia, ma era una panchetta che ci serviva da praticabile per fare gli esercizi di equilibrio.

Si metteva uno sopra l’altro con quattro bicchieri e ancora una sedia, poi ancora un’altra. La sedia doveva essere grossa perché doveva reggere le altre.

Quando veniva ad assistere al nostro spettacolo la signora Pagliughi noi quell’esercizio lì non potevamo farlo perché quella panchetta la voleva lei!

Era una donna molto robusta, con un bel deretano pronunciato, così quando arrivava lei il nonno che era toscano diceva: “Ho capito stasera ‘un si fa l’equilibri!”! Ecco l’aneddoto della Pagliughi.

Poi c’è quello che ricordo di Secondo Casadei.

Con la venuta in Italia degli americani c’è stata l’esplosione della moda del “boogie woogie” io ero una bambina piccola e ballavo con gli americani, ero un trottolino così e mi buttavano da tutte le parti allora, la musica americana travolgente, la gente non voleva ascoltare altro.

Così musicisti come Secondo Casadei, che avevano inventato e divulgato il liscio con delle orchestre eccezionali, facevano la fame, era un periodo di magra, e lui non sapeva come fare, non aveva più scritture, non aveva ingaggi.

Allora nel periodo del dopo guerra è diventato amico per la pelle del babbo e quando si andava da una piazza all’altra, veniva con noi Secondo Casadei.

Accompagnava il babbo con la sua orchestra e noi girando le piazze gli segnalavamo le feste. Un po’che mio padre era cantastorie quindi tutte le fiere e i mercati li conosceva, sapeva tutte le dritte di posti, locali, feste e tutto e lui ci veniva dietro. Dopo lo spettacolo mangiavamo tutti insieme su di un tavolone come quello dei frati e posso dire che il babbo è stato grande amico anche di Secondo Casadei.

Poi sei tornata a Forlì?

Quando sono tornata in Italia, nel 1994, il babbo ha ripreso vita e quando stava bene ha ripreso l’attività. Abbiamo fatto vari spettacoli anche qui a Forlì per il Comune, poi dovevamo andare a Castrocaro che avevano inaugurato un Castello, poi a Sanigallia e io cantavo sempre con lui, lo rinforzavo nella voce perché in ultimo saltava anche delle strofe, era un po’ sordo, si sbagliava, non sentiva i bassi….e abbiamo fatto diverse cose insomma gli era tornata un po’ la gioia di esibirsi di cantare e stare in mezzo alla gente. Siamo andati anche a Santarcangelo, nel 1995, ma poi lui ha avuto, poi è peggiorato….così io che ero tornata qua per votare non sono andata più via. Anche perché poi c’era tutto il materiale dell’AICA in una stanza tutta ammassata e ho fatto molta fatica a sistemarla. Questo materiale con fotografie, fogli volanti del babbo, dischi, manifesti si è accumulato negli anni poi è successo che pochi anni prima che i miei genitori morissero li hanno sfrattati. Ma come facevo a andare via? E’ stato un brutto periodo perché mia mamma non ci vedeva, mio padre era malato, lo sfratto imminente…. così ho dovuto fare la domanda per la casa e l’ho ottenuta che è poi questa.

In questa casa hanno abitato un anno poi purtroppo sono morti. Dopo il 2000 c’è stato un periodo di grande malinconia. Poi ho voluto mantenere la promessa fatta al babbo di rimettere in marcia l’AICA, che lui considerava la sua quarta figlia. A poco a poco mi è ritornato l’entusiasmo perché volevo conservare la memoria del babbo e della famiglia così mi do da fare, insieme a mio nipote, Fabrizio Cresti, per ridare vita all’AICA e continuare il suo lavoro.

Il mio progetto è quello di dare uno spazio adeguato a tutto il materiale di mio padre, poterlo catalogare e esporre per valorizzare pienamente il suo lavoro inserito in una prospettiva più ampia quella della piazza che il babbo tanto amava.

 

 

 

 

 

 

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Note:



[21] Nota: La Famiglia Cresti:

Sappiamo solo che attraverso il matrimonio con Vittoria Orfei l'anonimo capostipite è entra­to in circo e ha avuto una figlia, Gorina, cresciuta in circo. Fatma (figlia di Gorina e del giostraio Al­fredo Adailo) conosce e sposa Carlo Emendi di­ventando artista generica; la famiglia è tuttora in circo.

Notizie comunicate da famiglia Emendi, Milano 1990

CRESTI

anonimo con Vittoria Orfei

Gorina 1908 generica con Clemente Castagnoli

-                                             Fatma Cresti 18.11.1929 generica con Carlo Emendi   Notizie tratte da:

Alessandra Litta Modignani- Sandra Mantovani

Il circo della memoria

Ed. Curcu & Genovese Associati S.r.l. Trento

 

 

[22] Nota: La Famiglia De Antiquis: Lucia nata a Picinisco (FR) da famiglia benestante da cui viene diseredata perché fugge con Silvio Amadori suonatore di tromba. Dall’unione nasce nel 1909 Lorenzo a Savignano Sul Rubiconde alla morte del padre avvenuta nel 1914 a Rimini a causa di una polmonite, la mamma Lucia continua la professione di musicista girovaga insieme a Giuseppe Bartolommei di Firenze e la moglie Domenica Ceccarelli, nella piazza di Carpi conoscono il valente violinista Romolo Bagni che divenne come un padre per Lorenzo. G.P.Borghi-G.Vezzani C’era una volta un treppo…Ed. A. Forni Cap. IV “Lorenzo De Antiquis Vita di un grande cantastorie pag.107/120.

 

[23] Nota 5 (G.P.Borghi-G.Vezzani Ascoltate in silenzio la storia Ed. Maggioli 1987 pag 177 –

pag.107/120 C’era una volta il treppo

 

[24] Nota: vedi storia della Famiglia Cagnoli Alfredo marionettista nato a Cento Di Ferrara 1881-Milano 1954 in AA.VV. Burattini Marionette Pupi Silvana Editoriale 1980 pag.288

 

[25] Nota F.lli Picchi. Lorenzo lavora con Gino Picchi, scenografo, fratello maggiore di questa compagnia di marionettisti –burattina, artisti polivalenti. A quei tempi d’estate si trasformavano in fotografi ambulanti. Ancora oggi a Riccione c’è un negozio in Via Ceccarini. (anno 1988). G.P.Borghi-G.Vezzani C’era una volta un treppo…Ed. A. Forni. Vol.1 Breve cenno anche in  aa.vv.Burattini Marionette Pupi Silvana Editoriale 1980 pag.288

 

6 Nota G.P.Borghi-G.Vezzani C’era una volta un treppo…Ed. A. Forni. Vol.1 pag.113-

[27] Nota G.P.Borghi-G.Vezzani C’era una volta un treppo…Ed. A. Forni. Vol.1 pag.113-114-115

 

[28] Nota : Alessandra Litta Modignani- Sandra Mantovani

Il circo della memoria Ed. Curcu & Genovese Associati S.r.l. Trento pag. 263/265. 

 

[29]Nota : Testo foglio volante Maria Goretti :

 

 

 

 

 

 

 

 

[30] Nota : Alessandra Litta Modignani- Sandra Mantovani

Il circo della memoria Ed. Curcu & Genovese Associati S.r.l. Trento pag. 318 

 

[31]Nota: A Cervia nella piazza ora denominata Piazza Dei Burattini.

[32] Nota :Vedi nostra intervista a Delfino Mantovani figlio del cantastorie Dario detto Taiadèla

 del 13 febbraio 2005 inedita

 

 

 

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[33] Nota: G.P.Borghi-G.Vezzani C’era una volta un treppo…Ed. A. Forni. Vol.2 pag.85 e succ

[34] Nota: Alessandra Litta Modignani- Sandra Mantovani

Il circo della memoria Ed. Curcu & Genovese Associati S.r.l. Trento pag. 211. 

 

 

[35] Nota: G.P.Borghi-G.Vezzani C’era una volta un treppo…Ed. A. Forni. Vol.2 pag.143 “Treppo alla Fiera di Sassuolo” dove è documentato un treppo di Vincenzo “Bobi” Magnifico insieme a Marino Piazza del 13 ottobre 1968- G.Piazza/P.Alberini/G.Molinari Piazza Marino- Poeta Contadino- Ed. Calderini Bologna 1995 pag.55

 

[36] Nota: Rivista di tradizioni popolari “Il Cantastorie” n. 24 novembre 1977- P.Borghi-G.Vezzani C’era una volta un treppo…Ed. A. Forni. Vol.2 pag. 89.- G.Piazza/P.Alberini/G.Molinari Piazza Marino-I. Poeta Contadino- Ed. Calderini Bologna 1995

 

[37] Nota: Rivista di tradizioni popolari “Il Cantastorie” n. 47 gennaio/giugno 1979- G.Piazza/P.Alberini/G.Molinari Piazza Marino- Poeta Contadino- Ed. Calderini Bologna 1995

Pag.45.

[38] Nota: Rivista di tradizioni popolari “Il Cantastorie” n. 42 Luglio 1977 – G.P.Borghi-G.Vezzani C’era una volta un treppo…Ed. A. Forni. Vol.2 pag. 81.- G.Piazza/P.Alberini/G.Molinari Piazza Marino-. Poeta Contadino- Ed. Calderini Bologna 1995

 

[39] Nota: Rivista di tradizioni popolari “Il Cantastorie n.48Luglio/Dicembre 1979 - G.Piazza/P.Alberini/G.Molinari Piazza Marino- Poeta Contadino- Ed. Calderini Bologna 1995

Pag. 30.

[40] Nota: Rivista di tradizioni popolari “Il Cantastorie” n.1 nov.1963/n. 107/2008 rubrica

“Notiziario AICA” sull’attività dell’Associazione. - G.P.Borghi-G.Vezzani C’era una volta un treppo…Ed. A. Forni. Vol.2 pag.131/133 - G.P.Borghi-G.Vezzani Ascoltate in silenzio la storia Ed. Maggioli 1987 pag.185./187- G.Piazza/P.Alberini/G.Molinari Piazza Marino Poeta   Contadino- Ed. Calderini Bologna 1995 pagg.56/58.

 

 

[41] Nota: Leandro Castellani Lo Strass della Romagna – Le avventure di Secondo Casadei - Camunia Editrice 1989 Milano- Suppl emento Quotidiano Reporter n.110- 19/04/1996 “Speciale 25° Secondo Casadei” “Ricordarti è allegria”